26 Dicembre 2013

Assad e i ribelli uniti contro al Qaeda?

Assad e i ribelli uniti contro al Qaeda?
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Manca meno di un mese, ma l’America sembra cominciare ad avere le idee chiare sul da farsi. Il 22 gennaio si riunisce a Montreux – poco lontano da Ginevra, in Svizzera – la tanto attesa conferenza di pace sulla Siria: la prima occasione in cui il governo di Bashar al Assad e i rappresentati di alcune fazioni ribelli si troveranno seduti intorno allo stesso tavolo. La scorsa settimana l’agenzia Reuters ha pubblicato dalla sede di Amman, Giordania, un articolo che ha fatto subito il giro del mondo: alcuni alti ufficiali dell’opposizione hanno rivelato all’agenzia il contenuto dei loro ultimi incontri con la diplomazia americana, in vista di Montreux.

«I nostri amici occidentali – spiega una delle fonti – hanno chiarito che al momento non si può consentire la rimozione di Assad, perché credono che, se questo accadesse, la conseguenza sarebbe il caos e la vittoria dei militanti islamisti». Per ora, dicono gli americani ai ribelli, Assad deve rimanere al suo posto – una circostanza che è stata confermata da un gran numero di media internazionali.

Il ragionamento degli americani è semplice. Le forze legate in vario modo ad al Qaeda – come lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) – controllano ormai una porzione importante del territorio siriano, a nord e a est. La loro guerra non ha nulla a che vedere con la richiesta di democrazia di parte del popolo siriano.

Un esempio per tutti: all’inizio di dicembre il Fronte islamico (sigla che riunisce diverse brigate di stampo fondamentalista) ha costretto l’Esercito siriano libero, il principale gruppo ribelle sostenuto dall’Occidente, a cedere il controllo di alcuni magazzini di armi al confine con la Turchia. Appena la notizia si è diffusa, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno annunciato la sospensione di tutti gli aiuti ai ribelli siriani (ufficialmente si tratta solo di aiuti “non letali”).

Persino il governo di Londra, finora uno dei più attivi nel chiedere un maggior coinvolgimento militare dell’Occidente in Siria, inizia ad essere preoccupato per l’avanzata dei qaedisti. La vittoria di queste forze – secondo un’idea diffusa ormai nella gran parte delle cancellerie occidentali – avrebbe l’effetto di stravolgere tutti gli equilibri mediorientali, innescando una guerra di tutti contro tutti (lo spiegava giorni fa l’ex capo della Cia Michael Hayden).

Allo stato attuale – questa la conclusione alla quale sarebbero giunti gli analisti americani – esiste una sola forza in grado di contrastare l’avanzata dei qaedisti: l’esercito regolare siriano, quello controllato da Bashar al Assad. In questo l’analisi di Washington ha finito per convergere con quella di Mosca. Non si può ripetere l’errore commesso – ad esempio – in Libia, dove la distruzione dell’esercito di Gheddafi ha lasciato campo libero a terroristi e predoni e consegnato il Paese al caos.

Quindi – spiega una delle fonti sentite dalla Reuters – «russi e americani stanno lavorando a una cornice di transizione in cui gli alawiti (la confessione religiosa cui appartiene la famiglia Assad) conservino il loro ruolo dominante negli apparati di sicurezza, per garantire che non ci siano rappresaglie contro la loro comunità, e conducano la lotta contro al Qaeda unendo le forze con le brigate dei ribelli moderati».

In Siria la guerra non si ferma (alla vigilia di Natale è stato ucciso anche un giovanissimo fotoreporter della stessa agenzia Reuters), ma forse Barack Obama e Vladimir Putin hanno trovato uno schema di lavoro comune in vista di Montreux: sostenere in ciascuno dei due fronti – governo e ribelli – le componenti disposte al compromesso, per farle lavorare insieme contro il comune nemico jihadista. È un salto mortale ad altissimo coefficiente di difficoltà. L’esito di questo accordo non sarebbe ancora la pace, ma potrebbe essere l’inizio di qualcosa: se parte dei ribelli e l’esercito regolare iniziassero a combattere insieme un nemico comune, si creerebbe un terreno fecondo per trovare convergenze anche su questioni più alte e di prospettiva. Forse il primo, piccolo tassello di una nuova Siria.

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