Qualche domanda sulla cattura del killer di Bruxelles
Tempo di lettura: 4 minutiÈ stato arrestato l’autore, o presunto tale, dell’attentato al museo ebraico di Bruxelles avvenuto simbolicamente a ridosso delle elezioni europee. L’uomo si chiama Mehdi Nemmouche ed è stato fermato dalla polizia doganale francese con una borsa contenente un mitragliatore kalashnikov e una pistola con proiettili uguali a quelli usati nella strage. Nella borsa anche la bandiera dell’Isis, lo Stato islamico del levante, il cappellino a visiera che ha fatto il giro del mondo nel filmato che lo riprende mentre compie la strage. Infine, una telecamera, quella che doveva servire per riprendere l’attentato e che invece si è inceppata, come recita l’audio della stessa: così quel video contiene una “carrellata” sulle armi usate nell’occasione, accompagnata da una voce, compatibile con quella di Nemmouche, che rivendica la strage. Il killer è stato catturato per caso, a Marsiglia, mentre transitava su un autobus proveniente da Amsterdam, dopo essere incappato un banale controllo antidroga.
E qui iniziano le domande. L’uomo, un marocchino, era stato schedato dai servizi segreti francesi da tempo, dal momento che era parte della legione straniera di tagliagole jihadisti che stanno facendo strage in Siria. Una vicenda che ricorda quella dell’altro stragista antisemita, Mohammed Merah, che fece strage di ebrei a Tolosa e che rivelazioni successive evidenziarono coltivasse contatti non occasionali con i servizi di informazione francese. Al di là delle suggestioni riguardanti l’intelligence, è inquietante come l’Occidente abbia scientemente creato e alimentato un brodo di coltura del terrorismo internazionale in Siria allo scopo di rovesciare Assad, con conseguenze autolesioniste previste e prevedibili. Tanto che da tempo i servizi segreti siriani avevano allarmato i colleghi occidentali su possibili attentati in Occidente da parte dei loro “protetti” (c’è una narrazione che vuole che l’Occidente distingua tra ribelli anti-Assad buoni e quelli cattivi, in realtà il confine tra i due ambiti è labile e sfuggente).
Ma al di là dei rimandi alle stragi del passato, ai servizi e alla follia siriana, questo arresto pone altre e forse più imbarazzanti domande. Il killer di Bruxelles aveva messo a segno un’azione di alto livello “professionale”: l’operazione era durata pochi secondi; era stata condotta con calma e freddezza, con metodo e “coscienza”; ed era terminata con la fuga da manuale dell’attentatore, svanito nel nulla senza lasciar tracce. Un lavoro fatto da un vero esperto del settore. Tanto che gli investigatori fino a ieri brancolavano nel buio. Ed ora ecco il colpo di scena e l’arresto alquanto casuale, a meno di non ipotizzare, cosa possibile, un’operazione di intelligence mascherata da arresto accidentale.
Ma a prescindere dalla dinamica della cattura, com’è possibile che il killer tanto efficiente e professionale immortalato dalle videocamere del museo ebraico si faccia arrestare come un banale ladro di polli? A distanza di giorni dalla strage lo trovano con in mano la borsa contenente il kit del “perfetto stragista”, con tanto di cappellino indossato durante il crimine e la bandierina dell’Isis in bella evidenza. E pure il video auto-accusatorio… Anche i criminali di bassa lega sanno bene che la prima cosa da fare dopo un delitto è sbarazzarsi dell’arma. Un particolare che chi ha addestrato il killer di Bruxelles (che di certo è stato ben addestrato) gli avrà ripetuto all’infinito. E di tempo per far sparire il carico ingombrante il killer ne ha avuto a iosa. Infine, en passant, si può notare che un assassino professionista, ma anche un banale rubagalline, non farebbe mai l’errore di attraversare una frontiera armato di tutto punto (a meno di non godere di coperture poi saltate). Nemmouche ne ha attraversate almeno due: quella tra Belgio e Olanda e tra Olanda e Francia (c’è Shengen, certo, ma la libertà di transito vale fino a un certo punto, soprattutto dopo un attentato del genere: la prima allerta è alle frontiere).
Insomma, qualcosa, o forse tanto, non quadra. Così, a caso chiuso, facciamo alcune ipotesi di mera (senza h) fantasia: 1) l’uomo si è fatto arrestare scientemente per evitare di essere ucciso, dal momento che sulle sue tracce c’erano i servizi segreti di mezzo mondo con probabile “licenza di uccidere” (è l’ipotesi meno credibile, dal momento che la reazione internazionale era voluta e preventivata); 2) l’uomo preso dalla polizia francese non è il vero autore dell’attentato, ma una persona il cui volto è compatibile con il video del crimine: un capro espiatorio (magari volontario, si compra tutto con i soldi, soprattutto in ambienti di disperati bisognosi di soldi per sé o la famiglia) consegnato alla polizia per chiudere le indagini, che magari avevano imboccato strade pericolose per certi ambiti; 3) chi gli ha commissionato il lavoro, sempre che ci sia, sotto la pressione internazionale, ha deciso di “consegnare” l’autore del crimine.
Fantasie, appunto, resta una cattura che induce a tante domande (d’altronde non è la prima volta in casi del genere, basti ricordare i tanti interrogativi legati alla vicenda Merah). E restano i morti, quattro per l’esattezza, nel cuore dell’Europa. Che interpellano la comunità europea. Autorevoli opinionisti e politici, dopo l’attentato, hanno criminalizzato il partito nazionalista francese guidato da Marine Le Pen, accusato di derive antisemite. Ma nessuno di questi autorevoli esponenti della civiltà occidentale ha fatto un mea culpa per il sostegno prestato dalla Ue ai neonazisti dell’Ucraina che ancora occupano manu militari piazza Majdan e altri luoghi strategici del Paese. Nessuno si pone domande sulle milizie neonaziste che in questi giorni stanno affiancando l’esercito ucraino nell’attacco criminale – termine usato in senso tecnico, perché attaccare con aerei ed elicotteri luoghi di residenza di civili è un crimine di guerra – contro i ribelli filo-russi dell’Est, i quali chiedono solo che la nuova Ucraina abbia un assetto federale che rispecchi le diversità culturali e sociali di uno Stato profondamente diviso (tra l’altro il federalismo è parte integrante della cultura democratica occidentale). C’è dello strabismo nelle accuse mirate e nelle censure preventive che hanno accompagnato il simbolico attentato di Bruxelles. Uno strabismo che mal si attaglia a quanti ricoprono ruoli che dovrebbero accompagnarsi con l’esercizio della lungimiranza.