3 Luglio 2014

Israele: un triplice assassinio, una vendetta, una telefonata inquietante. Sale la tensione

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Mohamed Abu Khdeir è stato ritrovato morto in un parco di Gerusalemme. Bruciato. La notizia è volata di bocca in bocca tra la comunità araba della città santa, innescando sommosse contro gli israeliani. Mohamed è stato rapito e ucciso per vendetta, dopo il ritrovamento dei corpi dei tre ragazzi ebrei rapiti il 12 giugno. Netanyahu ha parlato di «abominio», ma le sue parole non placano la rabbia dei palestinesi, alimentata da tre settimane nelle quali le ricerche spasmodiche dei tre ragazzi hanno comportato una stretta contro la loro comunità, causando oltre  quattrocento arresti e cinque uccisioni.

Tutto è sospeso, mentre la tensione sale. Ma è ancora presto per capire dove tutto questo porterà, anche se è davvero difficile immaginare che Israele non faccia qualcosa. Il governo israeliano non ha ancora reso pubbliche le prove del coinvolgimento di Hamas in questo crimine orrendo. Né sembra intenzionato a farlo, nonostante si muova in maniera durissima contro questa organizzazione islamica. Eppure tanti nel mondo dubitano siano stati loro. Non ha alcun senso, non dopo l’accordo Hamas – Fatah che aveva ricevuto anche la benedizione Usa, cosa impensabile solo due mesi fa (possibile, si è detto, la responsabilità dei jihadisti o di  qualche frangia di Hamas contraria all’accordo).

Ma gli avvenimenti di questi giorni suscitano altre domande. Subito dopo il sequestro, Gilad, uno dei rapiti, riuscì a telefonare alla polizia e a dare l’allarme. I funzionari che ricevettero la telefonata derubricarono l’allarme a uno scherzo di cattivo gusto, lasciando cadere la cosa, questa la versione ufficiale. Si sono dimessi, ammettendo i propri errori. Ma oggi sulla Repubblica, si torna su quella vicenda, dal momento che il contenuto di quella conversazione è stato reso integralmente pubblico. Così sul quotidiano: «La registrazione della telefonata dura 49 secondi. Gilad dice due volte “siamo stati rapiti”, una voce con accento arabo urla “giù le mani, giù la testa” e poi si  sente un grido e dei colpi soffocati. “Ci hanno fatto ascoltare la registrazione”, racconta adesso Bat Galim “ed era solo una parte…”. “I funzionari della sicurezza che sono venuti a casa ci hanno spiegato che quei colpi” – racconta con voce ferma Bat Galim con il marito Ofir seduto a fianco – erano stati sparati all’esterno del finestrino, per questo i bossoli sono caduti all’interno dell’abitacolo”». Sono parole di Bat Galim, la mamma di Gilad. Al cronista spiega che in quel giorno maledetto le autorità gli avevano assicurato che i ragazzi erano ancora vivi. Lei gli aveva dato fiducia e aveva atteso, invano, una buona notizia che non sarebbe mai potuta arrivare. Ora vuole sapere tutta la verità: «Mi aspetto che qualcuno venga e mi dica chiaramente come sono andate le cose quella maledetta notte».

Già, cosa è successo davvero in quella maledetta notte? Com’è possibile che dei funzionari di polizia, della polizia israeliana, gente avvezza a fiutare il pericolo, in perenne allerta, abbiano preso un abbaglio del genere? Fin dall’inizio il mondo aveva saputo di questa telefonata, ma solo nella parte in cui risuonava la voce allarmata di Gilad; ora, dopo il ritrovamento dei cadaveri dei tre ragazzi, si sa che attraverso quel telefono si è sentito distintamente il rumore di colpi, un grido… Uno scherzo? O gli agenti che hanno ricevuto la telefonata erano sotto l’effetto di qualche allucinogeno o qualcosa non quadra nella versione ufficiale. Da considerare che se l’allarme fosse scattato subito, localizzato il luogo della telefonata – non accade solo nei film americani -, la caccia ai criminali forse avrebbe permesso la cattura dei sequestratori, risparmiando tre settimane di rastrellamenti a Hebron, con arresti e raid sulla Striscia di Gaza.

L’altra cosa che non quadra è l’uccisione dei ragazzi. Se i terroristi erano intenzionati ad assassinarli non li avrebbero rapiti. Molto più agevole ucciderli sul colpo, lì dove si trovavano, e dileguarsi (peraltro i terroristi hanno dimostrato di avere un’alta capacità elusiva). Invece il rapimento doveva per forza comportare una detenzione in qualche località segreta. Qualcosa è andato storto. Possibile che a decidere per l’assassinio sia stata la telefonata del ragazzo, una decisione presa sul momento per evitare la cattura in seguito all’allarme. Oppure è possibile che il gruppo di sequestratori era composito, alcuni, quelli che hanno prelevato i tre, volevano rapirli, mentre altri sono intervenuti successivamente decretandone la morte.

Ma al di là della ricostruzione degli eventi, che se pur utile alle indagini lascia intatte le responsabilità di chi ha ordito l’efferato crimine, resta la defaillance iniziale della polizia, che ha dato il tempo ai criminali di dileguarsi.

Tra i tanti interrogativi che suscita questa vicenda, uno riguarda il motivo per il quale il governo israeliano abbia detto ai suoi e al mondo per tre settimane che i ragazzi erano vivi e che le ricerche erano dirette a liberali, quando la telefonata e il ritrovamento dell’automobile con tracce di sangue al suo interno non davano adito a speranze, anzi. Forse un modo per avere il tempo di studiare le contromisure da adottare, forse altro. Certo è che durante queste tre settimane, con Hebron chiusa in una morsa di ferro e Hamas colpita in maniera durissima, la tensione, da una parte e dall’altra, è andata aumentando, come dimostrano anche le manifestazioni dei palestinesi, l’assassinio di Mohamed, i lanci dei razzi da Gaza e i raid sulla stessa.

Insomma in questa vicenda si riscontrano tante ambiguità che non hanno aiutato, non aiutano la cattura degli assassini e hanno creato nuova tensione, oltre che in Israele, anche nel campo palestinese. In particolare erodendo l’accordo tra Hamas e Fatah, dal momento che molti rimproverano ad Abu Mazen, presidente dell’Anp. di esser stato troppo arrendevole con Gerusalemme. Insomma, chi ha immaginato questo orrendo crimine sembra aver vinto: l’accordo tra Hamas e Fatah sembra seppellito e Hamas sembra sul punto di essere disintegrata o quantomeno fortemente ridimensionata. Dove quel “sembra” ha la sua importanza. Il fatto che il governo di Gerusalemme ancora non abbia deciso il da farsi significa che in Israele si dibatte in pubblico e in segreto: se alcuni vorrebbero radere al suolo Gaza altri insistono sulla necessità di un compromesso con i palestinesi, pena il perpetuarsi di questa guerra infinita. Il mondo attende con trepidazione la decisione.

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