Iran e Arabia Saudita, tentativi di dialogo
Positivo e costruttivo. È questo il bilancio che Hossein Amir-Abdollahian, vice ministro degli esteri iraniano (come riporta Tasmin News Agency), fa del suo incontro di fine agosto con le autorità saudite. Dopo anni di conflitto tra sciiti e sunniti che imperversa in Medio Oriente, sembra che qualcosa sia successo. Questa inattesa visita segnala infatti che la minaccia dell’Isis potrebbe avvicinare due Paesi storicamente rivali.
Tasmin New Agency ricorda che nel settembre 2013, pochi mesi dopo essere stato eletto presidente iraniano, Hassan Rouhani definì l’Arabia Saudita come un intimo amico della Repubblica Islamica dell’Iran, augurandosi che le due nazioni possano riuscire ad appianare le loro «futili tensioni». E il principe Saud al-Faisal, ministro degli esteri saudita che ha incontrato proprio Amir-Abdollahian, alla vigilia della visita ha espresso la volontà di rafforzare i rapporti bilaterali con l’Iran. Prove di dialogo, dunque, tra l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita, dopo anni di rapporti tesi, esasperati ulteriormente dalle rivolte arabe che li ha visti su campi opposti: la monarchia di Riyad impegnata a reprimere la sommossa popolare sciita in Bahrain (2011) e intenta a sostenere il regime change in Siria attraverso il finanziamento dei vari gruppi fondamentalisti; Tehran a fianco degli insorti in Bahrein e di Bashar Al-Assad in Siria.
Ma, nonostante le premesse tanto conflittuali, Javad Zafir, ministro degli affari esteri iraniano, ha affermato: «Ci sforziamo sempre di migliorare le nostre relazioni con i paesi vicini, in particolare con l’Arabia Saudita, a causa del suo status di primo piano tra i paesi del mondo musulmano», parole raccolte dall’agenzia stampa Anadolu e riportate da Middle East Monitor. Zafir ha aggiunto di nutrire la speranza che il suo Paese e il regno saudita condividano e perseguano insieme interessi comuni, come la lotta alla minaccia del terrorismo e all’estremismo (dell’Isis). Il buon esito dei colloqui con il governo di Tehran ha avuto eco in territorio saudita, tanto che Arab News riporta che i due Stati avrebbero deciso di unire le rispettive forze nella lotta contro le falangi terroristiche che minano la sicurezza della regione.
E, ancor prima che la Nato e il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approvassero la risoluzione contro lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, ecco come Voice of America accoglie la notizia della possibile cooperazione tra i due Paesi: «Il fatto che gli iraniani e sauditi stiano parlando di nuovo non garantisce un passo avanti contro i combattenti dello Stato Islamico, ma potrebbe rendere più facile la costruzione di una vasta coalizione contro il gruppo e facilitare gli sforzi per formare un governo più inclusivo in Iraq e, potenzialmente, anche in Siria». Cenno quest’ultimo non privo di ambiguità, stante l’insistenza con la quale gli Usa perseguono il regime-change. E ancora: «Gli Stati Uniti possono ora coinvolgere l’Iran – un partner chiave del governo a guida sciita in Iraq e del regime alawita in Siria – senza irritare le monarchie sunnite del Golfo Persico».
Tra Arabia Saudita e Iran c’è appunto il golfo Persico e soprattutto l’Iraq, teatro dell’avanzata – paurosa e incalzate – del Califfato Islamico. Le barbarie e la risolutezza dei guerriglieri jihadisti che innalzano bandiera nera spaventano il mondo; e, ovviamente, anche chi se li trova a pochi chilometri dai propri confini, pur avendoli armati in passato (Arabia Saudita), può nutrire una qualche inquietudine. Sempre nel suo pezzo per Voa, Barbara Slavin scrive che l’Arabia Saudita «ora che la causa sunnita in Iraq e in Siria viene portata avanti dagli estremisti del Califfato sta rivedendo le sue posizioni, riconoscendo nel movimento una seria minaccia alla sua stabilità interna nonché ai vicini Giordania e Kuwait».
Di un possivile cambio di rotta saudita parla diffusamente il sito Voltairnet (Le grand retournement saoudien). Oltre a denunciare le responsabilità dell’Occidente, della Nazioni Unite e degli Usa circa il rafforzamento militare degli jihadisti ora confluiti nelle fila dell’Isis – «una creazione dell’Occidente, ora sfuggita di mano» – , l’autore dell’articolo si interroga sulla nuova linea del Regno saudita che «per 35 anni ha finanziato e armato tutte le correnti politiche mussulmane sunnite», dichiarando la compatibilità del «modello economico degli Stati Uniti» e l’Islam: «Riyad non ha tardato a scoprire che l’Emirato Islamico (Isis ndr.) si apprestava ad attaccarlo dopo aver occupato un terzo dell’Iraq», scrive reseauvoltaire, tanto che «Il 19 agosto, il Gran Muftì dell’Arabia Saudita, lo sceicco Abdul-Aziz Al al-Sheikh, si è deciso – finalmente – a qualificare gli jihadisti dell’Emirato Islamico e di al Qaeda come nemico numero uno dell’Islam».
Difficile parlare di svolta, e però qualcosa è successo. Questi iniziali passi in direzione di un appeasement tra la monarchia del Golfo e l’Iran, decisivo per un riequilibrio del Medio Oriente, devono superare diversi ostacoli, interni ai due Paesi ed esterni, che ad oggi appaiono alquanto insormontabili (in un’intervista riportata sulla Repubblica dell’8 settembre Henry Kissinger afferma che «l’Iran è un problema più grande dell’Is»…). Ma val la pena di segnalare quegli accenni positivi che possono suscitare qualche speranza e indicare una direzione per uscire da un baratro sempre più oscuro.