Notes, 11 dicembre 2014
Tempo di lettura: 5 minutiMissive. Un amico sacerdote, don Antonio Baracchini, ha scritto una sorta di lettera aperta ai suoi amici. Piace e la riportiamo (i neretti sono nostri):
Lo scorso sette dicembre sono tornato da Roma dove ho trascorso quasi venti giorni di convalescenza per un intervento al naso. Nel frattempo, ho avuto modo di concelebrare per ben due sabati consecutivi alla Santa Messa in San Lorenzo al Verano. Mi ha sorpreso trovarmi in compagnia di tante famiglie e di tanti amici che ancora affollavano la Chiesa così come quando a celebrare era don Giacomo Tantardini. È vero, qualcuno ha smesso di parteciparvi, ma tantissimi continuano a farlo, sebbene, faceva notare un sorpreso padre cappuccino ad un suo confratello, non vi sia alcun “responsabile” a guidarli.
Vanno a messa dove usavano andare con don Giacomo vivo e questa è rimasta l’occasione per incontrarsi, pregare, confessarsi, affidarsi alla protezione di Maria Santissima, di san Giuseppe e dei santi Lorenzo e Stefano, di preparare i figli alla Prima Comunione e alla Cresima … insomma: di vivere la semplicità della fede così come l’hanno appresa e vissuta dalle parole e dai gesti di don Giacomo.
Di tutto questo, la cosa che porto nel cuore sono quei bambini di sei, sette anni che si confessano e che ricevono la comunione accompagnati dai loro genitori. Sono bambini fortunati perché hanno conosciuto e vivono il cristianesimo non come un problema, ma come una cosa semplice dove l’amore di Gesù, di Maria e dei Santi per loro e il loro amore per Gesù, per Maria e per i Santi prevale su tutti i discorsi, intelligenti o meno, e i propositi, mantenuti o no.
È la fortuna che manca ai bambini di tante parrocchie oggi, dove si tengono “percorsi catechistici” aggiornati ai nostri tempi, che iniziano il catechismo a sei anni per portarli a ricevere la comunione a nove anni e che poi, senza soluzione di continuità, proseguono fino ai tredici anni, quando, ormai grandi, possono finalmente ricevere la santa Cresima (per poi normalmente sparire dall’orizzonte della parrocchia…). In questi percorsi prevalgono i discorsi umani e i gesti religiosi creati ad arte per interessarli, forse nel timore che le semplici cose cristiane e che Gesù non sia un’attrattiva sufficiente per toccare e avvincere i cuori.
Qui emerge la grandezza di don Giacomo che, confidando nella presenza buona di Gesù e nella Sua grazia, invitava i suoi amici sposati ad anticipare il catechismo dei loro bambini al compimento dei cinque anni perché potessero ricevere la comunione all’età di sei anni, età in cui sanno leggere e scrivere e soprattutto sanno distinguere il pane comune dalla santa eucaristia.
Don Giacomo ricordava spesso la piccola Nennolina (Antonietta Meo) che, gravemente malata, ricevette all’età di soli sei anni la sua prima comunione. San Pio X, anticipando l’età per ricevere la comunione, lo aveva previsto: «Vi saranno santi fra i bambini!». E Nennolina è stato il primo frutto noto (quanti altri meno noti…) di quella intuizione.
Non meraviglia, allora, che don Giacomo, commentando la frase di san Pio X, fece scrivere su 30Giorni che “forse non immaginava che questo si sarebbe avverato così presto”. «Caro Gesù eucarestia, sono tanto, proprio tanto contenta che tu sei venuto nel mio cuore. Non partire più dal mio cuore resta sempre, sempre con me. Gesù io ti amo tanto, io mi voglio abbandonare nelle tue braccia e fa di me quello che tu vuoi. […] O Gesù amoroso dammi anime, dammene tante!». “Chi scrive – proseguiva l’articolo su 30Giorni – è una bambina. Una bambina di appena sei anni. La grafia e gli errori sono quelli di chi ha da poco imparato a usare la penna. Si chiama Antonietta Meo, per i suoi: Nennolina. Quando scrive questa letterina indirizzata al suo «caro Gesù» ha da poco ricevuto la prima comunione e la malattia che da tempo la divora le è già costata l’amputazione di una gamba. Morirà a Roma tre mesi più tardi stroncata da un cancro alle ossa”.
Spiace dover constatare che oggi Nennolina, invece del conforto di morire ricevendo Gesù nell’Eucarestia, avrebbe dovuto accontentarsi di essere attorniata da sacerdoti che al più le avrebbero spiegato il senso della morte e, ai genitori, il valore della sofferenza. Invece, come Nennolina allora, tanti dei figli dei ragazzi di don Giacomo hanno ricevuto la prima comunione in San Lorenzo ad appena sei anni e a sette la Confermazione.
Il 18 febbraio 2012, due soli mesi prima della morte di don Giacomo, l’allora Cardinale Bergoglio, a San Lorenzo, cresimò alcuni di questi ragazzini, confortando l’intuizione di don Giacomo che non era preoccupato di prepararli ai Sacramenti attraverso un percorso particolarmente impegnativo. Semplicemente, li istruiva sulle verità della fede come fatti da accogliere prima che da comprendere: insegnava loro le preghiere semplici dei cristiani come l’Ave Maria, il Padre nostro, l’Angelo di Dio, il Ti adoro del mattino e della sera; li invitava a confessarsi spesso e a ricevere possibilmente ogni domenica la santa Comunione… E dopo il catechismo li voleva tutti in ginocchio davanti al Santissimo a cantare “In quell’Ostia consacrata sei presente o Gesù mio, vero uomo e vero Dio, nostro amabil Salvator”.
È stata una sorpresa per me, dopo sette anni vissuti lontano da Roma, ritornare e vederli lì, in ginocchio davanti all’eucaristia, insieme alle loro famiglie, rivedere l’umiltà di gesti semplicemente cristiani; come di conforto è stata l’accoglienza gratuita e umanamente avvincente che mi hanno riservato i loro genitori. Pur se sono senza guida, la loro vita di fede semplice, è stata per me come un invito a non cercare una Patria in questo mondo e a condividere con loro la stessa fede, che vive nel riporre la speranza nell’invocare il nome del Signore.
Quand’ero nella diocesi di Terni, in provincia di Rieti (a Configni, a Vacone e a Rocchette di Torri in Sabina), volevo stare in parrocchia il sabato (giorno in cui don Giacomo celebrava a san Lorenzo la messa festiva della Domenica) per rimanere con i miei fedeli. Per questo non ho accompagnato don Giacomo a Roma a servire coloro che gli aveva affidato il Signore, coinvolgendoli nel suo guardare Gesù attraverso Maria, e di questo oggi mi pento. Ho sbagliato, e lo comprendo bene ora, perché volevo fare qualcosa io senza lasciarmi guidare dall’attrattiva Gesù che viveva nello sguardo e nella vita di don Giacomo; lui che non era preoccupato di seguire e proporre un percorso umano alla fede ma di vivere la fede nella sua genuinità.
Ma al di là del passato che oggi il Signore sembra aver superato con la sua misericordia, da questa visita romana è nato un pensiero, anzi una speranza: sarebbe bello se papa Francesco, che continuamente richiama la Chiesa ad affidarsi alla grazia del Signore e ricorda che la Chiesa è del Signore, riproponesse autorevolmente di anticipare l’accesso alla prima Comunione per tutti i bambini, così che tutta la Chiesa possa sperimentare la verità che i miracoli ancora oggi è il Signore che li opera in chi si affida a Lui. Infatti, non c’è miracolo più bello e più grande che riconoscere la facilità con cui il Signore rende cristiani e ci conserva tali, rendendo il nostro cuore umile, aperto e capace di amore verso tutti.