La strage di Parigi e l'ecatombe nigeriana
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L’Europa sconvolta da quello che appare un 11 settembre in salsa francese non ha modo di guardare altrove. Lo shock del massacro nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo e l’affannosa caccia ai killer, ormai prossima alla fine, sta monopolizzando l’attenzione dei media.
Così, mentre i cittadini europei seguono tali accadimenti con l’apprensione del caso, sull’altra sponda del Mediterraneo sta accadendo qualcosa di ancora più terribile di quanto si è consumato Oltralpe. Qualcosa di indicibile. Da ieri Baga, cittadina che si trova in Nigeria, zona Nord Est, non esiste più. Il movimento terrorista del Boko Haram, affiliato ad Al Qaeda, l’ha attaccata e rasa al suolo, uccidendo duemila persone, forse più (il numero preciso delle vittime non si può accertare, così si va a spanne).
Il terrorismo di marca islamista mostra ancora una volta il suo volto feroce attraverso una mattanza di una ferocia inaudita. Le cronache parlano di gente uccisa per strada, con armi da fuoco e da taglio, di gente affogata nel lago vicino, di strade disseminate di cadaveri. Ma non fa notizia. A morire, in fondo, sono solo dei neri, per di più africani… E dire che a far strage è lo stesso movimento, altro nome, che ha fatto strage a Parigi.
Prima di Baga, Boko Haram aveva compiuto massacri in altri villaggi in Nigeria. Uno dopo l’altro sedici centri abitati sono caduti nelle mani di questi sanguinari tagliagole. Un’offensiva che le forze armate nigeriane non sono in grado di contrastare, lasciate sole dalla comunità internazionale, della quale sembra abbiano imparato da tempo a diffidare.
L’Occidente è rimasto immobile. Gli Usa da poco hanno anche sospeso ogni collaborazione militare – pur esigua anche in precedenza -, mentre la forza di intervento internazionale decisa nel maggio scorso ancora latita. E il massacro continua. Una tragedia che non solo merita attenzione, ma anche alcune considerazioni più generali.
Lasciare la Nigeria ad affrontare da sola le forze del terrore, oltre che disumano, è poco intelligente. Se Abuja cade, si costituirebbe un califfato del terrore a ridosso del Mediterraneo. Una minaccia permanente per l’Europa. A quel punto, oltretutto, un intervento militare di contrasto sarebbe solo questione di tempo. E, non avendo il supporto militare e logistico che possono fornire ora le autorità locali, costerebbe molto di più, sia in termini di vite umane che economici.
L’avanzata del Boko Haram in Nigeria dimostra che è semplicistico e fuorviante immaginare – come sta accadendo dopo il massacro parigino – che al Qaeda e sue consociate abbiano come obiettivo islamizzare l’Europa. Il network del terrore ha una strategia globale e globalizzante, si muove senza obiettivi predeterminati, colpisce dove trova spazi e opportunità (e ovviamente dove ha interesse): in Europa come in Africa, in Asia come in America. Il confronto/sfida con l’Occidente è solo propaganda, serve a serrare le fila attraverso la creazione di un nemico. E a irrigidire l’Occidente accentuando quell’islamofobia tanto utile alla sua causa (crea divisione, alimenta la diffidenza fino l’odio reciproco tra islamici e non accrescendo la sua presa sui primi).
Una strategia globale, quella del terrorismo, che deve essere approcciata in maniera globale. Anche per questo è poco lungimirante dare la caccia ai killer di Charlie Hebdo e non curarsi di quanto avviene sull’altra sponda del Mediterraneo.
E ancora. L’attentato a Parigi ha rilanciato l’idea che alla sfida globale posta dai terroristi è necessario rispondere in maniera muscolare. Alle bombe dei terroristi occorre rispondere con le bombe dell’antiterrorismo. La vicenda del Boko Haram dimostra esattamente il contrario. Boko Haram non sarebbe se non si fosse data la guerra in Libia. Il dissennato intervento occidentale a Tripoli ha aperto le porte di Giano, facendo dilagare nell’Africa del Nord, e non solo, il fondamentalismo islamico che Gheddafi aveva tenuto a bada per decenni (suo il primo mandato di cattura internazionale contro Osama bin Laden, quando ancora era un benemerito patriota che sosteneva la guerra contro l’Urss in Afghanistan).
Ma più in generale, è sotto gli occhi di tutti il risultato dell’approccio meramente militare al fondamentalismo: il network del terrore ha trovato alimento dalle guerre neocon, che hanno destabilizzato Stati e creato nuove masse di disperati pronte ad abbracciare la causa fondamentalista. Grazie a queste guerre il fondamentalismo è dilagato, tanto che si può immaginare un mostro a due teste, dove le teste sono in lotta continua tra loro, ma il cui corpo cresce sia che si alimenti l’una sia che si alimenti l’altra.
E dopo di queste, conseguenza di queste, le primavere arabe, meglio la loro perversione ché all’inizio avevano spinte diverse: salutate con fervore dall’Occidente e adeguatamente sostenute e finanziate nella presunzione che potessero portare il sacro fuoco della libertà in terre che la ignoravano, hanno causato ulteriore destabilizzazione e aperto nuove opportunità al network del terrore.
Il terrorismo si contrasta con una visione più globale, con la cooperazione internazionale, senza le ambiguità che hanno contraddistinto finora l’operato dei Paesi occidentali, pronti a chiudere un occhio, o tutti e due, qualora la destabilizzazione di alcuni Stati, vedi Siria o Libia, andava a coincidere con propri interessi. Servirebbe l’intelligence, quella vera, in grado di bloccare flussi finanziari e di armi. E soprattutto servirebbe l’intelligenza, cosa che è mancata in questi anni.
Concludiamo questo articolo con una considerazione sull’ecatombe di Baga affidata a Twitter – sorta di messaggio in bottiglia – da un cittadino nigeriano (e ripresa dal Corriere della Sera): «L’inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui». È una frase di Shakespeare, che è utile a capire più di tanta retorica islamista e anti-islamica quel che si sta consumando in Nigeria e quel che si è consumato ieri a Parigi.
Ps. Tra le domande poste ieri nella postilla dedicata all’attentato compiuto presso la redazione di Charlie Hebdo una merita di essere ripetuta più nel dettaglio: la strada adiacente alla redazione è rimasta sgombra per oltre dieci minuti, tanto è durato l’attacco, consentendo agli attentatori una tranquilla via di fuga. Nessuna automobile in transito, nonostante fosse una via al centro di Parigi e fossero le 11 e 40 del mattino…