L'Isis e il traffico di opere d'arte made in Medio Oriente
Tempo di lettura: 3 minuti«L’archeologa Joanne Farchakh ha rivelato al quotidiano The Independent che gli islamisti vendono le statue e altre opere d’arte di importanza storica ai distributori internazionali. In questo modo guadagnano quantità enormi di denaro per queste opere uniche e poi fanno saltare in aria i templi e gli edifici antichi per dissimulare l’evidenza del saccheggio. “Le antichità di Palmira sono già in vendita a Londra. Ci sono opere siriane e irachene saccheggiate dallo Stato islamico che già si trovano in Europa. Non sono più in Turchia, dove erano state inviate in un primo momento”»
. La sintesi dell’articolo del quotidiano inglese è stata pubblicata su Russia Today il 4 settembre.
Da tempo le cronache registrano le devastazioni dell’Is ai danni del patrimonio artistico nei luoghi da questi controllati. In genere tali atti (che comunque restano meno gravi dei delitti da essi compiuti contro uomini, donne e bambini) vengono ascritti, da commentatori e analisti, all’ideologia religiosa della quale tali allegri macellai sono impregnati.
Una spiegazione banale e fumosa, che deriva dal cliché che vede in questa banda di tagliagole dei trinariciuti invasati religiosi. Non è così, se non per tanti spostati che ne ingrossano le fila. A chi controlla e guida questi macellai, e ai mercenari ben pagati che ne costituiscono l’ossatura, della religione islamica non interessa granché. È solo uno strumento utile per creare una cortina fumogena attorno a un’organizzazione ben più complessa e articolata, che si muove – o è mossa – in base a solidi interessi geopolitici ed economici. Esemplare, appunto, il caso della vendita di beni archeologici denunciata dalla Farchakh.
Certo la devastazione di tali tesori ha anche uno scopo di oscuro marketing: serve allo Stato islamico per incrementare la leggenda nera della quale ha bisogno per accreditarsi al mondo come il male assoluto, immagine che gli è essenziale in questo teatrino al rilancio nel quale si muove come il più acerrimo antagonista della civiltà (non solo occidentale). Ma è anche un marketing di più bassa lega, utile per far entrare nelle casse dell’Agenzie del terrore, e nelle tasche dei suoi leader, soldi. Tanti soldi (per reperti che magari tra due o tre decenni, dopo diversi passaggi, vedremo esposti al Louvre, al British o altrove).
La denuncia dell’archeologa intervistata dall’Independent si somma ad altre, precedenti, provenienti dai luoghi del saccheggio, delle quali abbiamo dato conto anche sul nostro piccolo sito. È un dato ormai acclarato, eppure…
Allorquando il web e i media sono stati inondati dalle immagini delle devastazioni made in Isis voci autorevoli hanno gridato tutto il loro orrore per l’ennesima deriva della barbarie islamista. Così com’è successo per il caso dell’uccisione dell’archeologo di Palmira, Khaled Asaad, che era riuscito a salvare tale sito archeologico dalle devastazioni della guerra e nascosto parte dei suoi tesori (probabilmente questo il motivo per il quale è stato torturato – perché rivelasse i nascondigli più riposti di quei tesori – e probabilmente ucciso perché in grado di smascherare le dinamiche del saccheggio).
Grida di scandalo e di orrore spesso sincere, ovviamente, ma a volte un po’ meno. Infatti, a quello scandalo non è seguito alcun atto di serio contrasto da parte delle autorità costituite.
Non ci vorrebbe molto a dare mandato alle forza di sicurezza e di intelligence perché indaghino sui traffici di reperti archeologici, ad oggi sparsi tra Londra e il resto d’Europa, come rivelato dalla Farchakh. Com’è accennato nelle sue parole, dietro tale traffico c’è una rete estesa e ben consolidata, ci sono intermediatori, che partecipa di connivenze probabilmente ad alto livello. Eppure…
Ad oggi, che il traffico di opere d’arte made in Isis (che, va ricordato, gronda sangue) dura da tempo, non un solo reperto è stato sequestrato: una statuetta, almeno un coccio. Non una sola persona arrestata per aver partecipato alla vendita o all’acquisto di questi tesori d’arte. Nulla di nulla.
O polizia e intelligence europei sono del tutto incapaci o non è stato dato loro alcun mandato in proposito. Non sappiamo quale delle due opzioni preferire.
Ps. Scrivere di Isis è un po’ anche parlare di migranti, la cui tragedia in questi giorni occupa le pagine dei giornali. Una tragedia che il mancato contrasto all’Isis e alle varie agenzie del terrore sparse nel mondo islamico (e in Occidente) alimenta a dismisura. Ma sul punto torneremo.