30 Giugno 2016

Istanbul: strage anomala

Istanbul: strage anomala
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La strage di Istanbul presenta due anomalie, che stranamente non sono state messe a tema sui media nonostante la loro evidenza e importanza. La prima è l’estrema facilità con la quale gli attentatori hanno portato a termine il loro macabro lavoro.

 

Si noti la fotografia dei terroristi in calce all’articolo: sono entrati in aeroporto vestiti con piumini. Anche un altro componente del commando, una donna poi arrestata, indossava un capo invernale: un cappotto lungo. Abiti lunghi e ingombranti sotto i quali celare le armi.

 

Le foto di vittime e poliziotti mostrano invece persone vestite con abiti leggeri, camice e magliette a maniche corte, come richiedono il tempo e la stagione locali.

 

L’abbigliamento degli attentatori avrebbe dovuto immediatamente attirare l’attenzione degli agenti della sicurezza. E degli addetti alle telecamere di sorveglianza. Niente di tutto questo, nonostante un allarme attentato, obiettivo proprio l’aeroporto Ataturk, fosse stato diramato agli inizi di ottobre.

 

Così, come avvenuto per l’attentato a Bruxelles (vedi anche nota), più che la geometrica potenza dei carnefici, colpisce l’irridente facilità con la quale vengono realizzati tali attentati: come fare una scampagnata. E la vacuità degli apparati di sicurezza. E dire che sul terrorismo si organizzano summit internazionali e tanto altro.

 

L’altra anomalia di tale attentato è che l’Isis, cui è stata attribuita l’azione, non ha rivendicato, a differenza di quanto avvenuto sempre nel passato. Anomalia inspiegabile, dal momento che la propaganda delle sue sanguinarie azioni è parte fondante della sua strategia destabilizzante.

 

Possibile, allora, che proprio esigenze strategiche abbiano dettato l’insolito silenzio. Che può esser spiegato come un tentativo di far ricadere su altri la responsabilità dell’eccidio. In particolare sulle organizzazioni militari curde, da tempo in conflitto con il governo centrale e protagoniste, negli ultimi tempi, di attentati in Turchia (in particolare ad opera dei Falchi per la liberazione del Kurdistan).

 

Il calcolo dell’Isis non era affatto aleatorio. Tanto che il governo di Ankara, come accenna anche Federico Toscano sulla Repubblica del 30 giugno, in un primo tempo ha indugiato sulla «tentazione di attribuire la responsabilità dell’attacco ai separatisti curdi». Tentazione poi rigettata.

 

Certo, a compiere l’azione sono stati elementi non curdi, e forse il gioco sarebbe stato scoperto. Ma anche la presenza di una donna nel commando, non usuale per azioni di stampo islamista, poteva far vacillare l’attribuzione Isis, che peraltro ad oggi non è ancora data per sicura al 100%.

 

Ma al di delle modalità con le quali vengono attribuiti gli attentati, val la pena soffermarsi sul motivo delle strage di Istanbul (spiegato nel dettaglio in altra nota), ovvero il tradimento di Erdogan il quale, da sostenitore dello jihadismo internazionale, negli ultimi giorni si è riavvicinato a Putin, nemico irriducibile delle Agenzie del terrore.

 

L’attribuzione dell’attentato ai curdi avrebbe messo a repentaglio tale rappacificazione, dal momento che, con tutti i distinguo e le ambiguità del caso, i curdi sono considerati da Mosca alleati indispensabili nella lotta al terrorismo, in Siria come in Iraq.

 

Peraltro Erdogan, che della sicurezza ha fatto bandiera, sarebbe stato costretto a incrementare la già intensa attività turca nei due Paesi, tornando all’usata politica anti-Assad e filo jihadista che con la virata verso Mosca sta faticosamente ripensando.

 

Menti raffinatissime quelle delle Agenzie del Terrore, che però, nel caso specifico, hanno visto ridimensionati gli effetti della loro azione. Non si rassegneranno, ovviamente, e rilanceranno la sfida, magari attraverso una rivendicazione postuma.

 

Ma l’efficacia ridotta del loro attivismo infonde cauto incoraggiamento: anche se la guerra non è affatto conclusa, segnala che al momento sono meno forti di prima.

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