Siria: obiettivo Iran
Tempo di lettura: 4 minutiIl conflitto si fa più intricato in Siria. Questi gli ultimi sviluppi.
Tutto ha inizio, si può dire, con il congiungimento ad al Tanf delle truppe siriane con quelle irachene (vedi Piccolenote). Incontro più che significativo sotto il profilo simbolico e geopolitico.
Tale congiunzione, infatti, va a creare la cosiddetta mezzaluna sciita, ovvero un collegamento diretto, via terra, tra Teheran ed hezbollah, ribaltando decenni di strategia neocon, volta a isolare i due tronconi dell’islam sciita e trasformarli in presenza residuale.
Un’opzione che gli Stati Uniti contrastano spostando i propri sistemi missilistici Himars dalla Giordania proprio ad Al Tanf.
Quattro giorni fa il ministero della Difesa russo dichiara che al Bagdadi potrebbe essere stato ucciso nel corso di un raid compiuto a Raqqa a fine maggio dall’aviazione di Mosca.
Non è la prima volta che il leader dell’Isis è dato per morto. Stavolta l’annuncio non viene da fonti secondarie ma dal ministero della Difesa russo. Anche se la morte del Califfo non è data per certa, la notizia va segnalata come degna di nota.
Due giorni fa gli iraniani compiono un attacco a Deir Ezzor. In azione missili terra – terra a lunga gittata, che fanno strage dei militanti dell’Isis che assediano da anni, inutilmente, la città siriana. Teheran comunica che si tratta di una risposta all’attacco al Parlamento iraniano compiuto dal Terrore a inizi giugno (vedi Piccolenote).
Il giorno successivo la notizia che fa traballare il mondo: un jet dell’aviazione degli Stati Uniti butta giù un Su-22 siriano in azione contro le Syrian democratic forces, milizie curde e tagliagole vari assemblati sotto la guida americana. Damasco protesta: il Su-22 in realtà stava colpendo obiettivi Isis.
Al di là della controversia, va segnalato che gli americani dicono di aver avvertito i russi. Non è vero. Tanto che il comando russo prende atto che sono stati disattesi gli accordi che prevedevano un coordinamento tra russi e americani in Siria e li dichiara decaduti.
Da ieri la zona a ovest dell’Eufrate è diventata off limits per i velivoli della coalizione a guida Usa. Aerei e droni che oltrepasseranno la linea rossa verranno seguiti e, del caso, abbattuti. Una minaccia reale, tanto che l’aviazione australiana si ritira dalla coalizione a guida Usa.
Fatti disparati, ma in realtà quanto sta avvenendo è alquanto lineare. L’Isis ormai è un residuo del passato. Questione di mesi, presumibilmente, e il Califfato sarà spazzato via da Siria e Iraq.
L’Agenzia del Terrore aveva fondato il proprio Califfato proprio nell’aera a cavallo tra Iraq e Siria, creando le sue capitali-roccaforti nei due Stati, rispettivamente Mosul e Raqqa.
La scomparsa dell’Isis, quindi, lascerà scoperto tale ambito geografico. Un ambito cruciale perché appunto è su questo confine che sta o non sta la realizzazione della cintura sciita tra Teheran e hezbollah.
L’ipotesi della creazione di una mezzaluna sciita ha fatto letteralmente impazzire i neocon, Da alcuni mesi le loro preoccupazioni riguardo la guerra siriana non è più la tenuta o meno del governo di Assad o la partizione della Siria in più Stati, ma l’Iran (le due ipotesi citate restano, ma come subordinate).
Del destino dell’Isis non importa più nulla agli Stati Uniti e ai suoi alleati regionali. Come evidenziato dal mancato rilievo che ha assunto la notizia della possibile eliminazione di al Bagdadi, citata dai media occidentali solo con qualche necessitato richiamo in cronaca (al punto dedicheremo del caso altra nota, è meno importante di altro).
D’altronde, come ha spiegato bene il senatore John McCain a fine maggio, dando voce alle preoccupazioni dei neocon, la Russia rappresenta un nemico più grande dell’Isis (vedi Fox News).
Da qui discende che l’Isis può anche essere usato in chiave anti-russa. L’offensiva verso Raqqa, così, pur se giustificata come una guerra al Terrore, ha anche come fine quello di porre sotto la tutela di forze filo-americane la città e la zona circostante, in particolare quella che guarda la frontiera irachena.
Da qui l’importanza della zona di Deir Ezzor, controllata dai siriani appunto, ma da anni assediata dall’Isis. L’offensiva verso Raqqa potrebbe avere come risultato quello di espellere miliziani dell’Isis dalla città, che si riverserebbero verso Deir Ezzor creando una pressione insostenibile dagli assediati (sul punto i russi hanno denunciato un possibile, ovviamente tacito, scellerato patto tra forze americane e Isis, ovviamente smentito).
Non va dimenticato a questo riguardo che tempo fa l’aviazione degli Stati Uniti ha bombardato gli assediati siriani, favorendo non poco i terroristi assedianti (vedi Piccolenote).
Questo spiega perché gli iraniani hanno lanciato i loro missili proprio contro gli assedianti di Deir Ezzor. Anche se all’obiettivo strategico, il lancio cumulava anche altri e più alti messaggi.
Si trattava, infatti, anche di un monito a quanti negli Stati Uniti e altrove stanno premendo per un attacco diretto contro l’Iran.
Teheran ha infatti voluto dare una dimostrazione di forza, non solo riguardo alla gittata dei suoi missili, ma anche alla loro precisione, come ha rilevato un analista del giornale israeliano Yediot Aharonot.
Un attacco a Teheran, era il messaggio, avrebbe come risultato un incendio di vasta portata in tutto il Medio oriente.
Il messaggio è stato recepito, tanto che i neocon sono diventati ancora più folli di rabbia. E il giorno successivo hanno tentato di far saltare il banco, innescando un’escalation.
Da qui l’iniziativa incendiaria di buttar giù un aereo siriano, cosa che avrebbe potuto far scattare la reazione russa. Infatti, dopo che nell’aprile scorso gli Stati Uniti avevano bombardato la base aerea siriana di Shayrat con i loro Tomahawk, la Russia aveva ammonito che non avrebbe tollerato altri attacchi diretti contro il suo alleato locale.
Non c’è stata una reazione immediata, come da auspici incendiari, ma la Russia ha comunque posto sotto la tutela della sua aviazione la zona a ovest dell’Eufrate, là dove sorge appunto Deir Ezzor e dove potrebbe avere compimento la creazione della cintura sciita.
Ciò avviene mentre Iran e Cina compiono un’esercitazione navale comune (vedi Piccolenote). In caso di escalation Pechino non sarà neutrale: questo il messaggio inviato dalla marineria del Dragone.
La possibilità di un ingaggio diretto degli Stati Uniti in Medio Oriente è oggetto di una controversia all’interno dell’amministrazione Usa. In un articolo sul Corriere della Sera del 20 giugno, Giuseppe Sarcina scrive che a premere per tale opzione sarebbero due influenti consiglieri della Casa Bianca, Derek Harvey e Ezra Cohen-Watnick (neocon appunto).
A frenare sarebbe il generale James Mattis, ministro della Difesa di “scuola Kissinger” (ma anche, presumibilmente, il generale Herbert McMaster, consulente per la sicurezza nazionale, pupillo di Mattis). Il quale invece, spingerebbe per una nuova avventura in Afghanistan (e gli Usa non possono tenere aperti due fronti).
Ancora una volta, quindi, la Casa Bianca è travagliata da uno scontro tra neocon e realisti. Dal quale dipendono tante cose, tra cui la realizzazione o meno dell’opzione apocalisse.