14 Settembre 2017

La Wada assolve gli atleti russi

La Wada assolve gli atleti russi
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«La Wada ha deciso di assolvere 95 dei primi 96 casi di atleti russi coiunvolti nel maxi scandalo del doping di Stato emerso dopo la pubblicazione del rapporto McLaren ed esaminati nell’indagine sul sistematico programma statale russo di doping. A rivelarlo il New York Times che ha citato un rapporto interno dell’agenzia antidoping mondiale: “Le prove disponibili sono insufficienti per affermare che ci sia stata una violazione delle regole antidoping per questi sportivi». Così sulla Repubblica del 13 settembre.

Una notizia bomba, se confermata a livello ufficiale, perché in base alle denunce dell’Agenzia McLaren la Russia era stata esclusa dalle Olimpiadi di Rio.

La Repubblica prosegue spiegando come il detective che aveva redatto il rapporto aveva più che altro smascherato il “sistema” di doping russo, quindi non si era soffermato a cercare prove per incastrare i singoli atleti o forse i russi sono stati bravi a distruggerle.

E che l’inchiesta della Wada sia monca, non avendo interrogato il grande pentito, Grigory Rodchenkov, l’ex direttore del laboratorio antidoping russo che aveva svelato tale sistema.

Considerazioni che non convincono: anzitutto perché non c’era bisogno di sentire il pentito, in quanto tutto il rapporto McLaren si basava sulle sue dichiarazioni e, a meno di non immaginare una sospetta rateizzazione accusatoria, aveva già ampiamente esposto le sue tesi (151 pagine…).

In realtà il dubbio è esattamente l’opposto: perché non sottoporre l’asserito pentito a un interrogatorio vero e proprio?

Prendere per buone le sue dichiarazioni senza un contraddittorio collimerà forse con quanto prevede la giustizia in casa Wada, ma lede i diritti della difesa, che si è vista negare la possibilità di interrogare a sua volta il teste (come ad esempio accade nella giustizia italiana).

Né convince l’assioma che il “disvelamento” del sistema doping non ha nulla a che vedere con il caso dei singoli, risultati poi innocenti.  Tale sistema è stato svelato dalla stessa fonte, appunto, ed è stato supportato dalle accuse mosse ai singoli.

La fallacità riguardo 95 accuse su 96, ovvero la quasi totalità, indica che la fonte non è affatto attendibile.

Il problema di questa vicenda è che è stata viziata ab initio, dal momento che tutto l’impianto accusatorio si basava sulle dichiarazioni di un singolo pentito.

Non si è fatta una vera e propria inchiesta, meglio, è stata fatta da una parte, l’Agenzia McLaren, in base a quelle dichiarazioni. E in base a queste accuse, ignorando i diritti della difesa e senza nemmeno istituire un’inchiesta vera e propria, si è condannato.

Resta quindi lo sconcerto per l’esclusione dalle Olimpiadi di 95 atleti che avrebbero potuto e dovuto parteciparvi.

Non siamo ingenui e certo il doping non è estraneo a certi successi olimpici, come disvelato da inchieste del passato. Ma l’idea che solo i russi abbiano avuto in sorte tale peccato originale non convinceva affatto.

Il problema è che tutta la vicenda è stata parte di uno scontro «con toni da guerra fredda tra Washington e Mosca», come conclude Repubblica. Uno scontro dal quale Mosca è uscita sconfitta.

Alle Olimpiadi si addice la pace. Come accadeva nell’antichità: farle diventare occasione di guerra, fredda o calda che sia, non è un bene. Non solo per i Giochi.