C'era un piano per devastare il Libano
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Il caso Hariri sembra risolto. Il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian ha dichiarato che il premier libanese si recherà in Francia con tutta la famiglia. Lo ha affermato nel corso di una conferenza stampa al termine di una visita a Ryad.
Tutto era iniziato sabato 4 novembre quando, durante un viaggio in Arabia Saudita, Saad Hariri aveva annunciato le sue dimissioni, decisione motivata, ha detto, dalla notizia di un attentato contro la sua persona ordito da Hezbollah, movimento sciita molto influente nel Paese dei cedri.
Il suo Paese aveva smentito la notizia dell’attentato e accusato i sauditi di aver costretto il primo ministro a compiere tale passo e di trattenerlo contro la sua volontà, dal momento che per alcuni giorni egli non aveva più dato notizie di sé ed era impossibile contattarlo.
Dopo giorni di silenzio Hariri aveva dato un’intervista che avrebbe dovuto fugare tali accuse, ma più che smentire sembrava confermare pienamente i sospetti di Beirut (sul punto vedi Piccolenote).
In questi giorni la svolta, favorita dalla pressione della Francia, Paese che, nonostante la decolonizzazione, conserva antichi e solidi legami con il Libano. Una svolta con giallo finale.
Ieri il presidente libanese Michel Aoun aveva accusato esplicitamente Ryad di rapimento, precipitando la crisi. In risposta all’accusa, Ryad aveva fatto filtrare un tweet di Hariri che annunciava il suo ritorno in patria «entro 48 ore». Oggi la destinazione è cambiata: verrà spedito in Francia prima di tornare a Beirut.
Evidentemente il Paese transalpino dà più garanzie ai sauditi, i quali, questo l’accordo evidente, rilasceranno il prigioniero a patto che il rapimento ad opera di Ryad sia taciuto, non solo da Hariri ma anche a livello internazionale.
Da qui anche la formula adottata per la liberazione dell’illustre rapito: egli avrebbe semplicemente «accettato l’invito di Macron» di recarsi in Francia. Non solo viene risolta la crisi, ma il presidente francese potrà rivendicare a livello internazionale un successo personale.
Resta da vedere se davvero Ryad rilascerà Hariri e cosa succederà in patria, dal momento che Aoun continua a ripetere che attende il ritorno del Primo ministro per decidere sulla sorte del governo.
Un piano macabro per il Libano
Sull’oscura vicenda è di grande interesse quanto dichiarato da Jean Aziz, addetto stampa del presidente libanese Michel Aoun, alla Tv al Maideen. Di seguito riportiamo il suo intervento.
«Stavolta non si tratta delle dimissioni del primo ministro Hariri né della caduta del governo per rimpiazzarlo con un altro governo, né è un ritorno al luglio del 2006», quando ci fu la guerra israeliana contro hezbollah.
«Ciò che sta accadendo oggi in Libano», ha spiegato Aziz, «è un ritorno alla vigilia dell’invasione israeliana del 1982, perché è stata presa un’importante decisione a livello internazionale volta ad attaccare il Libano. Il gioco è finito e occorre prendere atto di tale decisione e prendere tutte le misure possibili per proteggersi».
«La nostra risposta è stata chiara e forte», ha proseguito Aziz. «Allora l’obiettivo era l’Olp, oggi non ci sono organizzazioni straniere in Libano […] e qualsiasi attacco portato in Libano sarà considerato da tutto il Libano come un’aggressione a tutto il Paese».
«L’aggressione», ha spiegato «potrebbe essere portata da varie parti e attraverso varie vie, e potrà essere militare o di altra natura [es. milizie jihadiste come in Siria ndr.], ma useranno tutti i mezzi per attaccare il Paese, sarà una guerra aperta per porre fine a quello che hanno definito il “gioco” nel quale il Paese è entrato da qualche anno».
Nel particolare il “gioco” che deve finire è l’impossibile compromesso tra hezbollah e il partito di Hariri, votato dai libanesi sunniti; un accordo che ha tirato fuori il Paese dei cedri da una crisi politica che lo consegnava al caos permanente.
«Il messaggio è arrivato in Libano», prosegue Aziz ed «è stato incrociato con informazioni pubblicate in molti giornali occidentali di notevole credibilità. Alti e influenti funzionari dell’amministrazione statunitense, insieme a diversi loro omologhi della regione mediorientale, hanno cercato recentemente di imporre al Libano un assedio, di assestare un colpo devastante o una invasione, non necessariamente militare».
Molto Importante il passaggio sul rapimento del primo ministro: «Ci è chiaro che il primo ministro Hariri ha rifiutato questo piano, e forse questo è il motivo che lo ha portato all’attuale condizione».
«L’opposizione mostrata dal Primo ministro», ha aggiunto Aziz, «e la ferma posizione della sua famiglia e del suo gruppo politico che lo hanno sostenuto, insieme all’unità e all’adesione dei libanesi attorno al presidente della Repubblica, la cui posizione è stata chiara e ferma, così come le posizioni dei Paesi arabi e della comunità internazionale, che hanno messo in guardia sui pericoli connessi a tale disegno contro il Libano e sulle conseguenze disastrose di tale disegno per tutta la regione, sono riusciti a far abortire questo macabro piano».
«La posizione dei libanesi, ferma e solida», ha concluso, «ha influito sulla decisione degli statunitensi, che hanno lasciato sospeso e vacillante il loro disegno per poi cambiare gradualmente posizione fino ad abbandonarlo».
Non è detto che tale progetto sia stato abbandonato definitivamente, sintetizza poi al Maideen le parole di Aziz, dal momento che il passo indietro potrebbe essere solo una mossa «tattica», in attesa di «riproporre il loro disegno» in tempi e condizioni migliori, cosa sulla quale continuano a lavorare.
Abbiamo riportato per esteso quanto riferito da Aziz perché si tratta di una fonte più che autorevole, data la sua posizione, non certo di un oscuro complottista.