14 Marzo 2018

Mohamed bin Salman e le torture del Ritz

Mohamed bin Salman e le torture del Ritz
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Il principe saudita Mohamed bin Salman e la «torbida» vicenda dell’hotel Ritz sono oggetto di un articolo del New York Times firmato da Ben Hubbard, David D. Kirkpatrick, Kate Kelly e Mark Mazzetti.

Era l’inizio del novembre scorso quando oltre duecento tra i più influenti dignitari sauditi furono rinchiusi nell’albergo a cinque stelle e costretti a patteggiare pene severe.

Le torture dell’hotel Ritz

Oggi l’oscura vicenda appartiene al passato, ma non troppo. «Uomini d’affari una volta considerati giganti dell’economia saudita ora indossano cinturini alla caviglia che seguono i loro movimenti», scrive il NYT. «I principi che hanno guidato l’apparato militare e sono apparsi su riviste patinate sono controllati da guardie che non comandano».

E ancora: «Le famiglie che hanno volato su jet privati ​​non possono accedere ai loro conti bancari. Anche a mogli e bambini è stato vietato viaggiare».

Le autorità saudite hanno giustificato la retata come un’operazione anti-corruzione.

In realtà, secondo quanto ricostruisce il NYT, è tutt’altro: il giovane e rampante Mohamed Bin Salman ha voluto mettere al sicuro il suo ruolo di successore al trono, mettendo fuori combattimento i parenti del re, nonostante questi avesse indicato in lui il suo delfino. Evidentemente voleva ulteriori rassicurazioni.

Non solo la successione:  in quei giorni miliardi di dollari sono stati trasferiti dagli uomini arrestati «al controllo del principe ereditario», accrescendone la «ricchezza privata».

Il NYT dettaglia come le segrete stanze del Ritz siano state teatro di «coercizione e abuso fisico», tanto che alcuni detenuti sono ricorsi a cure ospedaliere, mentre uno di loro è morto con il collo «innaturalmente ritorto» e il corpo enfio di botte e bruciature.

«I parenti di alcuni dei detenuti», continua il NYT, «hanno affermato che i detenuti  sono stati privati ​​del sonno, malmenati e interrogati con la testa chiusa in un cappuccio». Ciò è avvenuto senza alcuna base giuridica e tutela legale.

Nonostante le autorità saudite abbiano negato tutto, il NYT va giù duro, sicuro delle proprie fonti saudite. Anonimi, per paura di ritorsioni.

Infatti, l’incubo non è affatto finito: «La maggior parte [dei detenuti]», si legge sul quotidiano Usa, «è stata rilasciata, ma non sono affatto liberi». Come testimonia la stretta sorveglianza indicata in precedenza. E la «paura di rappresaglie impedisce ai detenuti di parlare liberamente».

Questa la conclusione del NYT: «Nessuno può parlare di quello che è successo nel Ritz», ha affermato il socio di un ex detenuto. «Alla fine, tutti devono pur vivere in Arabia Saudita».

Mohamed bin Salman e la guerra dell’Aramco

Il principe saudita è considerato dall’Occidente un alleato imprescindibile nella lotta per contrastare l’influenza iraniana in Medio oriente e per ottenere il regime-change in Siria.

Ryad finanzia infatti le milizie jihadiste scatenate nella regione. Tra queste quelle siriane, rimaste ancora operative, che chiedono libertà e democrazia al “regime” di Damasco.

Già, perché il governo di Damasco è indicato come “regime” dai media occidentali, mentre il governo saudita è una splendida “monarchia”. Potenza del lessico familiare.

Ma nonostante le minimizzazioni, l’Abu Ghraib saudita è marchio indelebile ed è destinata a riaffiorare nel tempo.

Resta un dubbio riguardante la tempistica dell’articolo del NYT: è uscito subito dopo la visita in Gran Bretagna di Mohamed bin Salman, dove è stato ricevuto dalla regina Elisabetta.

Il principe deve collocare in Borsa la Aramco, la compagnia petrolifera (saudita) più importante del mondo.

Un collocamento che sarà a maggior gloria della Borsa prescelta. La City è pronta, come dimostra la visita londinese, ma Trump ha chiesto al principe di preferire Wall Street. Una disfida che potrebbe fare morti e feriti.