30 Marzo 2018

Trump: gli Usa via dalla Siria

Trump: gli Usa via dalla Siria
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“Usciremo presto dalla Siria. Lasceremo che altri se ne occupino”. Così Trump in un discorso a Richfield, Ohio. Un annuncio sorprendente, di segno opposto all’attuale tempesta perfetta Russia-Occidente.

L’apertura a Putin sulla Siria

La Siria è il cuore della disfida Mosca-Washington. E se gli Stati Uniti si ritirano, tante tensioni internazionali andranno a scemare.

In particolare si eviterebbero i rischi cui la contesa siriana ha esposto il mondo: lo scontro diretto tra Mosca e Washington.

Rischio che alcuni giorni fa poteva concretizzarsi se fosse andato in porto il piano di inscenare un attacco chimico contro i cosiddetti ribelli per incolpare Assad. Non è un’opinione complottista, ma quanto riferito dal sito israeliano Debkafile (Piccolenote).

Possibile che l’annuncio di Trump nasca proprio dallo scampato pericolo: non vuol dare altre occasioni ai costruttori di guerra.

O forse potrebbe aver preso a pretesto tale scampato pericolo per ottenere il consenso dell’apparato militare a una distensione con Mosca, disegno annunciato in campagna elettorale.

Certo, ad oggi è solo un discorso, ma Trump non si sarebbe esposto se non avesse le spalle coperte.

Al contrario di quanto si creda, non è un matto, come dimostra anche questa mossa: fa la più grande apertura a Mosca proprio nel momento in cui più forti spirano i venti della Guerra Fredda.

Così che nessuno possa evocare possibili cedimenti a Putin o rinverdire il fantasma del Russiagate.

Ai critici di tale iniziativa Trump può far pesare, come ha fatto nel suo discorso, l’enorme costo del conflitto.

Ma anche il fatto che i sistemi d’arma inviati dai russi in Siria negli ultimi giorni sono in grado di contrastare con successo eventuali attacchi Usa (a meno, appunto, di una guerra globale).

E, non ultimo, il fatto che l’impegno per contrastare l’Iran, come da richiesta ossessiva dei neocon, rende necessario tale disimpegno per focalizzarsi sul nuovo obiettivo (anche se in realtà il disimpegno siriano renderebbe più impervio un eventuale attacco all’Iran).

Interessante anche l’accenno riguardante gli “altri” che dovranno occuparsi della Siria: chiaro riferimento alla Russia.

Trump: i giorni della distensione

Val la pena ricordare che a fine gennaio il Segretario di Stato Rex Tillerson, da poco cacciato da Trump, aveva dichiarato che la presenza americana in Siria era destinata a durare.

Trump ha innestato la retromarcia. Detto questo, ad oggi è solo una dichiarazione. E tanti e feroci saranno i contrasti.

E però il fatto che Trump, dopo la telefonata in cui si era congratulato con Putin per la sue rielezione, avesse annunciato un prossimo incontro con il suo interlocutore, fa intravedere che l’apertura di ieri non è estemporanea, ma è parte di un disegno.

Un disegno che si può cogliere anche nella quasi contemporaneità tra le dichiarazioni sulla Siria e la determinazione per un appeasement con la Corea del Nord.

Ambedue le mosse, infatti, vanno in direzione di quella distensione internazionale che era parte del suo programma elettorale.

Il nodo Iran

Da vedere se riuscirà nel suo intento. E da capire come evolverà la questione iraniana che, dopo che Trump ha imbarcato Bolton nella sua amministrazione, urge.

I primi a essere spaventati dal superfalco sono tanti ambiti ebraici: un conto è indicare Teheran come un nemico esistenziale, altro è un conflitto che mette a rischio l’esistenza stessa di Israele.

Estremizzando il tema, volente o nolente, Trump ha compattato e dato coraggio agli ambiti ebraici contrari all’avventurismo neocon, finora rassicurati dal trattato sul nucleare stipulato con Teheran.

Inoltre, mettendo Bolton accanto a sé, può trattare la questione nell’ambito della sua amministrazione, senza dover subire il pressing esterno dei neocon.

Certo, c’è il rischio che il superfalco lo soverchi, ma anche no. La questione iraniana è così cruciale che non si gioca in una partita a due, bensì su un piano più alto e globale.

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