Il giorno del compromesso
Tempo di lettura: 2 minutiDopo certo scompiglio nasce un governo che si autodefinisce di “cambiamento”. Di per sé è definizione ambigua, ché si può cambiare in bene o male, quindi ci asteniamo dal commentarla.
Un governo populista?
Quel che si può dire è che continuare a definirlo “populista” è solo parte di una propaganda alquanto logora, che vorrebbe il mondo diviso tra populisti, i cattivi, e gli altri, che si astengono dal definirsi o che hanno mille definizioni; i quali, al di là delle molteplici auto-definizioni, sarebbero i buoni. Distinzione, questa sì, inaccettabile.
Le forze politiche di governo ora potranno essere criticate per quel che faranno, piuttosto che per quel che i loro critici, a torto o ragione, finora gli hanno ascritto apriori.
Bene anche che “tal Cottarelli”, per ribadire un’espressione già usata sul nostro sito due giorni fa, abbia rimesso il mandato.
Un governo della sfiducia, unico nel suo genere nella storia italiana, era più che rischioso per la tenuta del Paese, stretto dalla morsa della pressione internazionale (politica ed economica) e da un ambito nazionale che sarebbe stato incendiato da una campagna elettorale durissima.
Bene quindi il ripensamento. Come bene anche il ripensamento della Lega, che ha tenuto il punto perché convinta di riuscire vincitrice in tutti gli scenari possibili.
Alquanto incomprensibile il fatto che, durante il giuramento del governo, il partito democratico abbia organizzato una manifestazione a difesa della Costituzione.
Proprio l’attuale dirigenza del Pd voleva cambiarla in senso restrittivo della sovranità popolare, abolendo di fatto il Senato della Repubblica in nome di una asserita governabilità.
Si spera che il Pd esca dal tunnel nel quale lo ha costretto l’attuale reggenza. Un’opposizione più credibile può tornare utile al Paese.
Il governo e l’Europa
Da vedere se le forze al governo saranno in grado di ottemperare quanto promesso e se sapranno dare risposte al disagio che li ha premiati.
Quel che è certo è che ci sarà una nuova politica sull’immigrazione, necessitata nell’attuale caos, nazionale e internazionale, consegnato all’emergenza, ma certo con rischi di derive opposte e speculari all’attuale; inoltre appare certo un approccio diverso verso la Ue.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha offerto sponde su ambedue i temi. Il fatto che ieri gli Stati Uniti abbiano imposto i dazi sull’acciaio, più che penalizzanti per la Germania, potrebbe indurre Berlino a più miti consigli riguardo le richieste dei partner europei.
D’altronde, se ieri il grande compromesso è stato possibile è stato anche in forza della guerra commerciale portata da oltreoceano, iniziata con la revoca del trattato sul nucleare iraniano (che penalizza non poco le imprese europee). La Ue è costretta a serrare le fila per farvi fronte.
Detto questo, e al di là della sorte del governo italiano, il solo serrare le fila non basta. Si tratta di ricomporre il puzzle di un’Europa in frantumi: il vaso di ferro tedesco ha infranto i vasi di coccio dei suoi partner.
Un’evoluzione favorita anche da governi europei incapaci di (o non interessati a) far valere le proprie ragioni rispetto alle insindacabili ragioni teutoniche e ai dogmi della Finanza.
Le cose sembrerebbero cambiate. Il quadro internazionale offre sponde che prima non c’erano o non sono state esplorate in nome di un rapporto del tutto ancillare con Washington. Vedremo.