12 Luglio 2018

Le dimissioni di Boris Johnson e della Brexit

Le dimissioni di Boris Johnson e della Brexit
Tempo di lettura: 3 minuti

Si dimette Boris Johnson, ministro degli Esteri britannico. In aperto dissenso con Theresa May che accusa di aver tradito la Brexit.

Mister Boris Johnson e la Brexit

Un gesto che segue le dimissioni, meno pesanti ma forse più simboliche, del ministro per la Brexit, David Davis.

Il primo ministro britannico in passato è riuscita a superare ardui perigli. Ma ora ha a che fare con la rivolta del suo stesso partito ed è altra cosa.

La tenuta del suo governo dipenderà da vari fattori: se la City teme la Brexit, teme ancora di più una vittoria di Jeremy Corbyn, una delle ultime voci di sinistra d’Occidente.

Dove però lo stesso Corbyn è insidiato al suo interno dai blairiani, più vicini alle ragioni e ai portafogli della City che non a quelle degli elettori laburisti.

Ma se incerti sono i futuri sviluppi politici della Britannia, le dimissioni di mister Johnson danno però un’indicazione certa: la Brexit non appartiene più al destino irrevocabile della Gran Bretagna.

Tante e potenti le forze che hanno insidiato tale prospettiva. Ma se si fa un confronto con quanto sta accadendo negli Stati Uniti si vede che non è tanto e solo questa la ragione del momentaneo scacco della Brexit.

La vittoria di Trump, infatti, è stata conseguenza diretta della Brexit. E anche lui ha dovuto fare i conti con forze potenti e oscure determinate a rovesciare l’esito elettorale.

E però è alquanto evidente che a differenza di quanto accaduto di qua dell’Atlantico, Trump risulta, almeno per ora, vincitore sui suoi avversari interni.

E dire che Trump sembrava aver meno chanches dei propugnatori della Brexit data la sua relativa solitudine rispetto all’establishement americano, mentre i suoi omologhi britannici erano partito.

Difficile determinare cosa abbia prodotto il diverso risultato. Di sicuro si può dire che Trump ha saputo legare la sua avventura a una narrativa e a una politica nuova e suggestiva.

Infatti, non ha solo proposto l’abbandono di un modello, che come per la Gran Bretagna è la globalizzazione, ma ne ha proposto un altro: l’America First.

Non solo un modello economico, ma anche politico e di indirizzo di politica estera: gli interessi americani innanzi tutto non hanno solo prodotto guerre commerciali, ma anche uno sguardo diverso al mondo.

Il destino avverso del sosia “cattivista” di Trump

Se si analizza il mandato di Trump, si vedrà che, nonostante le intemperanze verbali, i conflitti militari intrapresi dalla sua amministrazione sono stati (almeno finora) molto meno laceranti di quelli dell’era Obama (guerriero riluttante ma arrendevole alle pressioni della Clinton pur di portare a casa l’accordo con l’Iran).

Basta pensare al conflitto ucraino, aperto con Obama e sedato con Trump; o al mattatoio mediorientale, molto più attivo con il suo predecessore; o, infine, alla pax coreana.

Anche i propugnatori della Brexit avevano proposto una politica estera più attenta ai bisogni della nazione che alle ragioni della globalizzazione. Ma hanno puntato sulla riproposizione dell’imperialismo britannico, modello alquanto stantio e anacronistico.

Ne è uscita fuori un’accesa politica anti-russa, che a quanto pare è stata scelta come asse portante di tale riproposizione. Non solo il caso Skripal, ma anche il rilancio del caso Litvinenko, la guerra in Siria e tanto altro.

Una conflittualità che si è sommata a quella propria della Brexit, che contrappone Londra all’Unione europea.

Se Trump sta vincendo è anche perché sta offrendo al mondo la possibilità di uscire dalla follia delle guerre neocon.

Il mondo altro dall’America, pur opponendosi alle guerre commerciali trumpiane e alla sua variabile assertività, non gli è irriducibilmente ostile proprio perché offre tale insperata opportunità.

Basta vedere il favore con cui la Cina sta osservando la pax coreana, foriera di nuove opportunità per Pechino (vedi Piccolenote), o alle aperture di Putin.

I fautori della Brexit, invece, hanno portato nel mondo solo nuova, pericolosa conflittualità. Una conflittualità peraltro velleitaria, che li condanna. Le dimissioni di Boris Johnson, il sosia “cattivista” di Trump, sono segno e simbolo di tale condanna.

Ps. Non solo le dimissioni di Boris Johnson: la sconfitta della nazionale di calcio inglese, data ormai in patria per trionfante nell’avversa Russia, suggella il momento “no” dell’isola britannica. La Brexit forse tornerà forse no, quel che è certo è che tanta è la confusione oltre la Manica… 

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