11 Agosto 2018

Erdogan - Trump: una sfida, tante incognite

Erdogan - Trump: una sfida, tante incognite
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Recep Erdogan sotto assedio. Trump martella la Turchia con dazi pesantissimi, che colpiscono un’economia già in crisi: il valore della lira turca cade ai minimi storici, facendo tremare i mercati internazionali.

Erdogan e il pastore protestante

Casus belli la detenzione del pastore protestante Andrew Brunson, arrestato a seguito del fallito colpo di Stato in Turchia, del quale Trump chiede il rilascio.

Una querelle che sembrava potesse sbloccarsi nel negoziato condotto la scorsa settimana. Non è andata così. E Trump è andato giù pesante.

Oggi Il New York Times pubblica un editoriale del presidente turco, nel quale egli rammenta la lunga storia di amicizia tra Ankara e Washington.

Una storia incrinata negli ultimi anni, rammenta Erdogan. Nei momenti bui del golpe, infatti, mentre egli rischiava la vita, “invece di schierarsi con la democrazia turca, le autorità degli Stati Uniti hanno timidamente chiesto ‘stabilità, pace e continuità per la Turchia”. Una reazione del tutto “insoddisfacente”.

A seguire la controversia su Fetullah Gulen, il capo della setta islamica cui le autorità turche hanno addebitato il golpe, residente negli Usa e mai estradato nonostante le insistenti richieste.

Non solo. Erdogan rimprovera agli Stati Uniti anche l’aiuto prestato ai curdi del Pkk e del Pyd, che Ankara persegue come terroristi.

Infine la citata querelle su Brunson. Nel suo scritto Erdogan non fa un minimo cenno al suo rilascio, accusando gli Usa di avanzare richieste indebite.

Uno scritto durissimo, quello del presidente turco, che conclude: se gli Usa non si decideranno a “invertire questa tendenza all’unilateralismo” la Turchia dovrà “cercare nuovi amici e alleati”.

Erdogan, Putin e l’Iran

In realtà Erdogan ha già intrapreso questa via, come ricorda l’editoriale del New York Times che commenta il suo scritto.

Egli si è infatti avvicinato a Putin. E non solo sul piano politico, ma anche, cosa ancor meno ammissibile, su quello militare.

Per il NYT è infatti inaccettabile che la Turchia abbia richiesto alla Russia gli S-400, un sistema antiaereo che mette Ankara in dissonanza con l’apparato militare Nato.

Nell’editoriale del NYT, anche il vero casus belli, celato dietro il dissidio su Brunson. Pare infatti che l’accordo fosse fatto: i turchi avrebbero rilasciato il pastore protestante in cambio della liberazione di un cittadino turco detenuto in Israele.

Invece, alla fine Ankara ha alzato il tiro, chiedendo “la clemenza per una banca statale turca, la Halkbank, e un funzionario bancario turco accusato di violare le sanzioni contro l’Iran”.

Insomma, Erdogan non ha accettato la tagliola delle sanzioni contro l’Iran varate dagli Usa, che colpiscono non solo le imprese iraniane, ma anche chi fa affari con esse (come ben sa anche l’Europa).

La Turchia di Erdogan negli ultimi anni ha trovato in Teheran un alleato regionale (peraltro fu proprio l’Iran ad avvisarlo del golpe, consentendogli di sfuggire all’infausta sorte). E non vuole rinunciarvi a beneficio di Washington.

Ma appare interessante anche la conclusione del già citato editoriale del NYT: “La scoraggiante storia recente della Turchia solleva ancora una volta la questione se i valori islamici possano coesistere con la democrazia”.

Una considerazione che evidentemente unisce i liberal, area di riferimento del giornale newyorkese, e i neoconservatori, da sempre sostenitori di questa tesi e sponsor delle guerre per “esportare la democrazia” nel mondo islamico.

Ciò evidenzia come Trump, attaccato dai media praticamente su tutto, sulla questione turca abbia trovato alleati bipartisan, anche tra le fila dei suoi nemici, i quali hanno da tempo messo Erdogan nel mirino (dal colpo di Stato in Turchia, secondo gli analisti turchi).

Questa, in sintesi, la durissima querelle Ankara – Washington, che può mutare di molto gli attuali scenari geopolitici. Ma che deve essere inquadrata anche in un contesto più ampio (vedi Piccolenote).