Scintille tra Erdogan e Bolton
Tempo di lettura: 3 minutiRecep Erdogan si è rifiutato di incontrare John Bolton, giunto in Turchia per riannodare fili disconessi, stante che da tempo il sultano gioca la sua partita a tutto campo, con l’ambiguità del caso e a prescindere dall’antico alleato d’oltreoceano.
A quanto pare Bolton non è riuscito, dato che non solo Erdogan non l’ha incontrato, ma ha pure definito un “grave errore” la dichiarazione da lui rilasciata nel corso della pregressa visita in Israele.
Nella foga di stoppare il ritiro americano dalla Siria ordinato da Trump, Bolton aveva affermato che non sarebbe avvenuto senza garanzie sulla sicurezza dei curdi che occupano l’area di Siria controllata dall’Us Army .
In realtà, Bolton aveva usato parole più crude: gli Usa non possono lasciar “massacrare i curdi” dai turchi. Dichiarazione “inaccettabile” per Ankara.
La Turchia, ha detto Erdogan, è amica del popolo curdo. È solo determinata a eliminare i terroristi del Pkk e del Pyd.
Le sue parole sono state accompagnate da quelle di Omer Celik, portavoce dell’Akp (il partito del Presidente): “La Turchia è l’unico Paese amico dei curdi“. E del portavoce del presidente, Ibrahim Kalin, il quale ha affermato che Ankara è garante della “sicurezza dei curdi in Siria“. Insomma, una levata di scudi in piena regola.
Haaretz riferisce che Erdogan non ha solo snobbato Bolton, ne ha anche messo in dubbio l’autorità, rivelando che Trump, in privato, lo chiama “Mike Bolton” (in realtà, sembra più una concessione ulteriore da parte del presidente, il quale, chiamandolo col nome del Segretario di Stato, di fatto sembra accreditarlo come il vero ministro degli Esteri Usa…).
Il quotidiano israeliano ha poi ricordato la telefonata tra il presidente americano ed Erdogan, quando Trump avrebbe chiesto al suo omologo se Ankara fosse in grado di eliminare l’Isis dall’area attualmente occupata dagli americani. E, alla risposta positiva del suo interlocutore, aveva dato via libera al ritiro e luce verde a un’offensiva turca in zona.
Insomma, l’America non è stata ai patti. Da qui la furia di Erdogan, che aveva visto finalmente coronati i suoi sogni espansionistici, dato che con la scusa di combattere i terroristi curdi immaginava di conquistare parte della Siria.
Un piano per ora vanificato dall’iniziativa dei curdi di offrire il controllo della città di Mambij a Damasco, le cui truppe si sono così frapposte tra i due litiganti, giovandosi della indispensabile copertura russa.
Ed è questo il vero motivo della rabbia di Erdogan, che sa bene di non poter forzare la mano in Siria senza il sostegno americano.
Le parole di Bolton sui pericoli incombenti sui curdi a causa di un’eventuale campagna turca, da questo punto di vista, potrebbero allontanare ancora di più tale prospettiva.
Al di là delle polemiche incrociate Erdogan-Bolton (che a sua volta ha criticato il sultano turco), resta l’incertezza sulla realizzazione effettiva del ritiro americano e sui tanti sviluppi possibili, non ultimo un attacco turco che potrebbe mandare fuori controllo la situazione.
Il problema sta anche nell’ambiguità che da tempo contraddistingue i curdi, divisi e infiltrati: se alcuni dei loro comandanti hanno dichiarato “inevitabile” un accordo con Damasco, altri sperano ancora in una prosecuzione della missione americana.
Intanto l’Isis ha ripreso la sua macelleria: oggi ha ucciso 32 combattenti curdi. Al di là del funesto destino dei poveri morti ammazzati, è un segnale importante. Trump aveva dichiarato che, avendo sconfitto l’Isis, l’Us Army aveva compiuto la sua missione e poteva finalmente uscire dai confini siriani.
L’Isis ha voluto far sapere che non è stato affatto sconfitto, Un modo per far restare le truppe Usa nell’area.
Fini strateghi, i sacerdoti del Terrore temono l’arrivo delle truppe di Damasco e dei russi, che sono riuscite a debellare la mala pianta nel restante territorio siriano.
Il caos è il brodo di coltura ideale per il Terrore. Ed è da capire se l’attuale diatriba tra Erdogan e Bolton lo alimenterà o meno.