Trump ha bisogno di Sanders (e Obama)
Tempo di lettura: 3 minutiLe ultime mosse di Trump, culminate nel riconoscimento della sovranità israeliana sul Golan, sembrano prospettare una svolta del presidente americano, ormai intrappolato nella morsa dei neocon, ai quali sarebbe dunque affidata anche la nuova presidenza, dopo la possibile vittoria del 2020.
L’America first neocon
Chiuderebbe così indecorosamente l’era Trump, fondata su due principi: l’America first e la fine della guerra infinita, ovvero la chiusura della stagione della rivoluzione globale di stampo neoconservatore, follia che ha insanguinato il mondo negli ultimi vent’anni.
Tutto ciò conservando le apparenze: l’America first rimarrebbe, ma come simulacro. Svuotata del suo significato originario di un parziale ritiro americano dal mondo, avrebbe invece un significato del tutto proattivo.
Diventerebbe la nuova veste ideologica della sua proiezione globale, che anzi alimenta nuova aggressività verso le altre potenze di portata globale, Russia e Cina.
Non solo una prospettiva futura, ma un compimento di quanto già sta avvenendo grazie all’influenza ottenuta nell’amministrazione Usa dal Consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton.
Detto questo, se è vero che Trump ha dato spazio ai neocon, ottenendo in cambio la decisiva assoluzione nel Russiagate, è altrettanto vero che non è affatto rassegnato alla loro prospettiva globale, che significherebbe la sconfessione totale delle sue promesse elettorali.
Come rivelano tanti particolari: la lotta per arrivare, nonostante tutto, a un accordo con la Corea del Nord, il ritiro da Siria e Afghanistan, anche se parziale e con tutte le tragiche ambiguità del caso, e altro.
Sanders e lotta nel cuore dell’Impero
Ma la lotta intestina nel seno dell’amministrazione Usa è segnalata anche da altro e più simbolico. Una settimana fa il Washington Post rivelava che, in una riunione riservata all’American Enterprise Institute, l’ex vice-presidente Dick Cheney si è lamentato con l’attuale, Mike Pence, sulla politica estera Usa.
Trump è come Obama: questa, in estrema sintesi, l’idea di Cheney, che vede le due presidenze allineate nel contrasto delle direttive neocon.
Non solo le parole di The Vice (come da titolo del film dedicato al vicepresidente dell’11 settembre), anche la polemica su John McCain, che Trump ha recentemente criticato per aver votato a favore dell’Obamacare.
Un voto imprevedibile, dal momento che “McCain odiava l’Obamacare”, come da titolo della Nbc, ma “l’ha salvato” per assestare un colpo a Trump.
Il presidente ha recentemente ricordato lo schiaffo dell’alfiere neocon al Congresso Usa, ricordando che fu decisivo. Ne è nata una polemica accesa: tanti sono insorti per difendere il “patriota” defunto.
La critica di Cheney è più che significativa e conferma quanto abbiamo sempre scritto su queste pagine a proposito delle convergenze parallele tra opposti (Obama-Trump). La querelle su McCain merita due righe.
Trump non è così sciocco da non sapere che muovere rimproveri a un defunto, per di più figura illustre in America, è cosa più che improvvida. Né aveva bisogno di ricordarne lo sgambetto per rilanciare la sfida sull’Obamacare.
Se lo ha fatto, peraltro insistendo sul punto, è per segnalare all’America e al mondo la sua distanza dai neocon, dei quali McCain fu nefasto alfiere.
Per dire che, se anche ha ceduto, non è schiavo della loro cabala; e che intende portare a compimento quanto promesso.
Ma perché ciò avvenga deve trovare sponde esterne. Troppe le forze ostative all’interno della sua amministrazione, del suo partito e del deep State.
A questo proposito riportiamo un passaggio di una recente intervista di Steve Bannon.
“Credo che in futuro possa nascere negli Stati Uniti un’alleanza tra Trump e componenti del partito democratico vicine a Bernie Sanders che hanno a cuore gli interessi del popolo”.
Ovviamente Bannon non può ignorare le convergenze tra Sanders e Obama. Ma l’armonia segreta abbisogna di un bel tacer.