Elezioni 2020: Biden fuori prima di correre?
Tempo di lettura: 3 minutiAccuse di molestie sessuali per Joe Biden dalla vice-governatrice del Nevada Lucy Flores. Non vere e proprie avances, ma è un comportamento invasivo e inappropriato quel che si rimprovera all’ex vicepresidente Usa, peraltro avvenuto a un comizio elettorale (un bacio sulla nuca che, a leggere il ricordo della Flores, sembra di incoraggiamento).
Colpo devastante per Biden. Che rischia di far svaporare le sue aspirazioni alla presidenza proprio alla vigilia dell’annuncio della sua candidatura.
Che sia una mossa politica da parte dei suoi avversari è alquanto ovvio, data la tempistica della denuncia. Ma appartiene al gioco elettorale, che spesso e volentieri – e non solo negli Stati Unti -, è gioco al massacro.
Biden e il Mee Too
L’accusa peraltro è puntuale, perché Biden sta cavalcando l’onda del Mee Too, il movimento anti-molestie nato dopo lo scandalo Weinstein.
E anche se l’appunto della Flores può apparire di lieve entità rischia di mettere in luce un’ipocrisia che l’elettorato Usa potrebbe non perdonare.
L’ex vice-presidente si sta difendendo con intelligenza, senza attaccare l’accusatrice, anzi elogiandone il coraggio. Allo stesso tempo afferma di non ricordare l’episodio, derubricandolo dunque a un equivoco e ribadendo il suo impegno a favore del Mee Too.
Il campo democratico è diviso tra colpevolisti e innocentisti. E, sempre che non emergano altri episodi imbarazzanti che chiudano definitivamente la partita, è presumibile che Biden e il suo staff abbiano iniziato a monitorare i sondaggi con più attenzione e a interpellarsi sull’opportunità di lanciare la candidatura.
Se riportiamo la notizia dell’inciampo non è tanto per indicare le difficoltà di un potenziale candidato, quanto perché l’episodio ha peso non indifferente nella lotta per le presidenziali del 2020.
Fino a qualche giorno fa Biden era l’unico candidato dei democratici che i sondaggi davano più o meno vincente su Trump.
Ha il physique du rôle dal momento che è uomo di esperienza ed è percepito come moderato. Esattamente i pregi che mancano ai tanti esponenti democratici che si sono candidati finora, che la radicalità e l’inesperienza condannano alla sicura sconfitta.
Ciò a stare ai sondaggi, ovvio, che poi Trump vinse nonostante fosse ben più radicale e meno esperto della Clinton. Ma i sondaggi contano, anche perché attirano o allontanano donatori, che nelle presidenziali sono essenziali.
Biden e il nucleare iraniano
In una nota ormai perduta rammentavamo come la sorte politica di Biden sia strettamente legata al trattato sul nucleare iraniano. Non solo perché il vicepresidente si è speso più di altri per realizzare l’atto più importante della presidenza Obama.
Accordo così importante che uno dei motivi della vittoria di Trump nel 2016 va ricercato nella sua intenzione di revocarlo (anche se in realtà sperava di eludere l’impegno contratto con i neocon).
In realtà il nesso tra l’intesa e Biden è più articolato. Nel luglio 2015 Obama sigla lo storico accordo con l’Iran. Ma gli mancano i numeri al Congresso, dal momento che sono contrari sia repubblicani che democratici di rito clintoniano. Rischia la bocciatura.
Così nell’agosto il presidente sigla un patto di ferro con la Clinton: gli consegna il partito e quindi la candidatura in cambio dei suoi voti. Il 18 ottobre l’accordo con l’Iran viene ufficialmente ratificato.
Tre giorni dopo, il 21 ottobre, il vicepresidente Biden, che i sondaggi indicavano come l’unico in grado di battere la Clinton alle primarie del partito democratico, annuncia, a sorpresa, che non correrà. Pacta sunt servanda.
Una storia che riteniamo opportuno ricordare, per rendere omaggio al passato di Biden e che forse è utile tener presente per seguire i segreti intrecci nell’ordalia elettorale americana.
Nei duelli si annunciava con enfasi il “primo sangue” causato dal primo affondo giunto a bersaglio. Nel caso specifico, il “primo sangue” è stato versato.
Un pericoloso avversario del “no deal” Usa-Teheran è stato colpito. E forse affondato.