Cina-Usa: i rischi dello scontro di civiltà
Tempo di lettura: 3 minutiLa guerra commerciale Cina-Usa rischia di diventare uno “scontro di civiltà”, con tutto quel che ne consegue.
Quando Trump fu eletto, aveva promesso un confronto con Pechino. E scontro è stato, ma tenendo sempre aperti i negoziati, durante i quali non sono mancati momenti distensivi.
Ma a maggio tutto è precipitato ed è iniziata la guerra dei dazi. La Cina risponde con misura: non vuole questa guerra, ne teme l’escalation che spaventerebbe i suoi alleati, ma soprattutto gli investitori stranieri.
Gli Usa e la fuga di capitali dalla Cina
Al di là dei danni commerciali, infatti, l’America sembra intenzionata a innescare una fuga di capitali e di aziende dalla Cina. Tanti i media che hanno scritto di imprese pronte a delocalizzare in Vietnam. Anche per questo Pechino sta inviando rassicurazioni sulla stabilità dello yuan (Xinhua) e sulla tenuta del suo sistema.
Varie le interpretazioni dello scontro. Servirebbe a ribadire la leadership globale Usa. Ma potrebbe anche essere strumentale a capitalizzazione in una fase di accordo successiva.
Motivazioni vere, ma c’è altro. E non sembra farina del sacco di Trump. Il presidente Usa è pragmatico, come anche le sue guerre. Non così il conflitto attuale, che rischia di diventare esistenziale.
Lo “scontro di civiltà”
Lo scorso 30 aprile, con i colloqui Cina-Usa ancora in corso, il Washington Examiner titolava: “Il Dipartimento di Stato si prepara allo scontro di civiltà con la Cina”.
L’articolo riferiva le dichiarazioni di Kiron Skinner, direttrice della pianificazione politica del Dipartimento di Stato, secondo la quale quella tra Usa e Urss, in fondo, “è stata una lotta all’interno della famiglia occidentale”.
Ciò perché “Karl Marx era un ebreo tedesco e ha sviluppato una filosofia concepita all’interno dell’ampio corpo del pensiero politico occidentale”.
Il confronto con la Cina, invece, “è uno scontro con una civiltà e una ideologia completamente diversa”; si tratterebbe di un conflitto come gli Stati Uniti “non hanno mai conosciuto finora”.
Le proteste cinesi
Colpisce l’evocazione dello “scontro di civiltà”, perché appartiene al lessico neocon. Un’espressione usata nella narrazione di un asserito conflitto epocale tra islam e occidente, nata per giustificare l’avventurismo militare Usa.
Intervento importante quello della Skinner, tanto che a risponderle è stato lo stesso Xi Jinping, che ha definito tale evocazione “stupida” e “disastrosa” (Politico); affermando invece la fecondità di un “dialogo tra civiltà” (Chinadaily).
Anche la stampa cinese si è interpellata sulle parole della Skinner. Così Global Times: la concorrenza “è normale nei giochi politici tra grandi potenze. Ma un rivale non è necessariamente un nemico”.
Certo, esistono divergenze ideologiche e di interessi tra potenze rivali. Ma altra cosa è un “nemico” da abbattere attraverso uno “scontro spietato”. Al contrario, “non vi è alcuna contraddizione inconciliabile tra le civiltà dei due Paesi”.
La convergenza neocon-Bannon
La svolta del Dipartimento di Stato Usa coincide con la forte presa di posizione di Steve Bannon, il cosiddetto ideologo di Trump, il quale il 7 maggio ha affermato che non ci può essere “nessun compromesso” con la Cina (Foxnews).
Una coincidenza interessante se si pensa che Bannon e certa destra americana hanno sostenuto Trump contro i neocon. Nella contesa cinese, dunque, la destra ideologica Usa appare unita e ingaggiata in una lotta che non ha solo obiettivi strategici, ma è esistenziale.
Uno scontro dove tutto è permesso, dato che sarebbe in gioco la sopravvivenza stessa della nazione. Con rischi di derive ingestibili, come accaduto per le guerre neocon.
Probabile che Trump abbia subìto, più che voluto, tale svolta. Rivelatore in tal senso quanto accaduto al G-20 argentino del dicembre 2018.
Allora, mentre era a colloquio con Xi Jinping, venne arrestato il Ceo della Huawei, Meng Wanzhou, mandando in fumo una prima possibile intesa.
Trump ha dichiarato di voler incontrare il presidente cinese al G-20 che si terrà a fine giugno in Giappone (Osaka). Da vedere se tale incontro si terrà e se porterà a una qualche distensione.
Nella foto in evidenza, Kiron Skinner e Mike Pompeo