19 Settembre 2019

Israele: l'America scarica Netanyahu

Israele: l'America scarica Netanyahu
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Quando finisce un regno, non è sempre un crollo repentino. Si aprono crepe, ma la struttura appare stabile come prima. Poi le crepe si approfondiscono sempre più, fino al collasso improvviso.

È quanto sta avvenendo con il regno di Netanyahu che sembra perpetuarsi, nonostante il rovescio elettorale, che poi non è una sconfitta ma una mancata vittoria.

Una non-vittoria che ha determinato un apparente stallo, dato che non può governare lui, ma nemmeno il suo avversario Benny Gantz, il cui partito, Kahol Lavan, è stato il più votato dagli elettori.

Le crepe iniziano a manifestarsi apertamente. Nel suo partito, il Likud, mormorano, ma hanno paura di abbandonarlo, come scrive Timesofisrael.

Netanyahu sta giocando la sua ultima carta – oltre a sperare in una guerra esterna, dato che la criticità Iran è ancora a rischio escalation -, che è quella di mantenere lo stallo fino in fondo, costringendo il Paese a scegliere tra un compromesso con lui o nuove elezioni.

In teoria la carta è ottima, dato che nessuno vuole andare a una terza elezione consecutiva, dopo due votazioni risultate vane.

Trump freddo su Netanyahu

Ma c’è un senso di stanchezza generale attorno alla sua figura, che sta logorando il suo margine di manovra. Una stanchezza che gli ha fatto perdere la via dell’America e, presumibilmente, quella di tanta parte di ebraismo mondiale.

Di ieri la dichiarazione di Trump, che, interpellato se avesse avuto contatti telefonici con Netanyahu in questi giorni, ha risposto di no, sottolineando che i suoi rapporti non sono legati a Netanyahu, ma a Israele.

Una presa di distanza netta, che evidenzia la banalizzazione della narrativa di questi anni su un binomio indissolubile tra i due leader politici. In realtà Trump ha sempre subito l’assertività del premier di Israele, discontandosene quando gli è stato possibile, come adesso.

Una presa di posizione coraggiosa, quella di Trump: l’appoggio di Netanyahu è stato importante per la sua ascesa a presidente degli Stati Uniti. Preservarne la leadership gli sarebbe stato utile per le presidenziali del 2020, calcolo politico che avrebbero fatto tanti al suo posto.

Ha deciso altrimenti, rivelando uno spessore politico alto, in contrasto con tante narrative sul suo conto.

Critiche dagli Usa

Ma se Trump ha potuto fare questa mossa è anche perché l’America, nei suoi ambiti politici e culturali, appare stanca del regno di Netanyahu.

La guerra aperta del premier israeliano con il partito democratico appartiene alla storia, da quando ha dato avvio a un duello rusticano con Obama a causa dell’accordo sul nucleare iraniano.

Conflitto che ha prodotto anche il fenomeno Jexodus, cui ha prestato volto e voce l’ex modella Elizabeth Pipko, secondo la quale era tempo di un secondo esodo: dopo quello che portò il popolo eletto dall’Egitto alla Terra Promessa, agli ebrei si chiedeva di uscire dal partito democratico per confluire nel partito repubblicano. Appello pittoresco quanto vano.

Così non meravigliano i tanti articoli contro Netanyahu apparsi in questi giorni sul giornale di riferimento di tale ambito, il New York Times, ultimo dei quali quello odierno di Roger Cohen che inizia così: “Gli israeliani ricordano a Netanyahu che è un politico mortale, non un re. Ciò potrebbe salvare la loro democrazia e ogni residua possibilità di pace”.

Ma colpisce molto di più uno scritto più autorevole, data la forma di Editoriale, apparso oggi sul Washington Post, dal titolo più che eloquente: “La sconfitta di Netanyahu sarebbe una buona notizia per Israele e gli Stati Uniti”.

Un editoriale tombale quello del giornale di riferimento dei repubblicani. Appare evidente che la distanza col premier israeliano è condivisa anche da gran parte della comunità ebraica americana, da tempo infastidita dall’irrequietezza di Netanyahu.

Netanyahu e lo stallo di Israele

Tali prese di posizione avranno ripercussioni in Israele, nonostante Netanyahu goda ancora dell’appoggio dei neocon Usa.

Per sopravvivere egli deve tenere sotto controllo il suo partito e unita la coalizione di destra religiosa che lo sostiene, per evitare che qualcuno tratti con Gantz.

Forte dell’adesione di questi partiti, ha chiesto a Gantz di incontrarsi per un governo di unità nazionale, ma ad oggi l’esito è stato negativo.

Difficile che tale soluzione possa darsi di seguito, ma non impossibile, e presumibilmente solo se a Gantz sarà data la carica di premier, cosa che comunque risulterebbe una sconfitta decisiva per Netanyahu.

Ma si intravedono altre crepe, stavolta nel suo blocco. Il piccolo gruppo di Ayelet Shaked e Naftali Bennet scalpita. Shaked ha detto che il blocco unito attorno a Netanyahu è ancora una “vaga idea” (Timesofisarel). D’altronde avevamo già scritto che i due erano destinati a dare grattacapi al premier uscente. Sempre più “uscente”.