Stati Uniti: via Bolton, torna l'impeachement
Tempo di lettura: 3 minuti
Torna l’impeachement nella politica americana. Un ritorno che val la pena ripercorre dall’inizio. Appena eletto, Donald Trump fu imprigionato dal Russiagate. Il processo distensivo con la Russia, essenziale per la sua agenda volta a un attutimento delle tensioni internazionali e a porre fine alle “guerre infinite” dei neocon, fu bloccato sul nascere.
Il Russiagate e Bolton
Inchiesta lunga, il Russiagate, con prospettive di impeachement e con impennate improvvise in coincidenza con eventi chiave della politica estera Usa.
Per stare solo all’ultimo anno, si possono notare i picchi a ridosso del vertice di Hanoi del febbraio 2019, nel quale Trump doveva chiudere l’accordo con la Corea del Nord (fallì miseramente) o del G-20 di Osaka del giugno 2019, nel quale Trump riuscì egualmente a incontrarsi con Putin e Xi Jinping, ma con esiti depotenziati.
John Bolton, imbarcato da Trump nell’amministrazione per attutire l’odio neocon nei suoi confronti e gli effetti dell’inchiesta, ha ampiamente approfittato di tali picchi per orientare in senso neocon l’agenda del presidente.
La conclusione del Russiagate (e altro) ha lasciato Trump più libero, tanto che ha potuto liberarsi del suo Consigliere per la Sicurezza nazionale.
Coincidenza vuole che proprio nel giorno in cui Bolton veniva licenziato, in America si tornasse a parlare di impeachement, dopo che l’ipotesi sembrava esser stata definitivamente accantonata a causa dello svaporare del Russiagate.
Una coincidenza temporale, registrata anche da Giampiero Gramaglia sul suo Blog, nel quale riferiva che il giorno dopo della dipartita di Bolton la Commissione Giustizia della Camera veniva chiamata a votare per ampliare i poteri di inchiesta sul presidente Usa.
L’impeachement che viene dall’Ucraina
Passati alcuni giorni, la bomba: in una telefonata al presidente ucraino Volodimir Zelensky, Trump avrebbe chiesto la riapertura delle indagini su un caso di corruzione che vedeva coinvolto il figlio di Joe Biden – il candidato dei democratici alla Casa Bianca -, vanificato da un asserito intervento del suo predecessore Petro Poroshenko.
La rivelazione ad opera di un agente segreto americano era però alquanto debole per innescare un vero scandalo. Così, ad aggravare la vicenda, l’accusa di alto tradimento: Trump avrebbe negato a Zelensky armi Usa finché non avesse fatto quanto richiesto.
Ad accorgersi che la spedizione di armi americane in Ucraina era stata bloccata dalla Casa Bianca è stato il neocon repubblicano Lindsey Graham (Washington Post).
Lo stop delle armi dirette a Kiev avrebbe messo in pericolo un alleato degli Stati Uniti e favorito la Russia. Da qui l’accusa di aver agito contro l’interesse nazionale, mossa ieri da alcuni ex alti ufficiali americani in un editoriale del Washington Post.
Nancy Pelosi, che finora aveva frenato il senso dei dem per l’impeachement, ha così deciso di avviare una procedura per verificare se esistano gli estremi per un procedimento contro Trump.
Greta vs Trump
Trump si difende affermando che era compito dell’Europa aiutare l’Ucraina, sostenendo il peso economico della fornitura di armi.
Né in questo momento può affermare, come in precedenza, di essere favorevole alla distensione tra Russia e Ucraina avviata con la vittoria di Zelensky, minacciata da questi sviluppi. Tant’è.
A spingere per l’impeachement anche i liberal-clintoniani, che sognano una rivincita alle presidenziali del 2020, soprattutto da quando la candidata Elizabeth Warren ha allacciato rapporti con Hillary Clinton (anche se hanno posizioni non coincidenti).
Grazie a tale sostegno, la Warren sta mettendo in ombra i tanti candidati dem che fanno riferimento a Sanders, arrivando a sfidare lo stesso Biden, che gode dei favori dei pronostici.
Non è a tema solo il rilancio dell’ambito clintoniano, ma anche di una prospettiva, che è poi la stessa dei neocon: si vuol chiudere la parentesi isolazionista di Trump per tornare alla globalizzazione e a un ruolo più assertivo degli Stati Uniti nel mondo.
Una prospettiva rilanciata anche grazie al fondamentalismo della religione ambientalista della profetessa Greta Thumberg, che sta portando nuova linfa all’esausta narrativa della globalizzazione e, in prospettiva, voti nuovi ai dem (l’espressione feroce rivolta da Greta a Trump, diventata virale, è significativa in tal senso).
Così lo scontro può esser riassunto dai due slogan risuonati ieri alle Nazioni Unite. Il monito di Greta: “Il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o meno”. La risposta di Trump: “Il futuro non appartiene ai globalisti […] appartiene alle nazioni sovrane e indipendenti”. Scontro aperto.
Ps. L’Ucrainagate copre e ribalta le accuse mosse dai trumpiani alla Clinton, il cui ambito imbastì il dossier che innescò il Russiagate, confezionato indagando sulle attività di uno stretto collaboratore di Trump, Paul Manafort, in Ucraina.
Probabile che, piuttosto che a un’indagine sul figlio di Biden, Trump (e non solo lui) sia più interessato a un’indagine che faccia luce sulla genesi di tale dossier, che ha avvelenato la vita politica americana degli ultimi anni (vedi Foxnews).