Siria: Trump non ha dato via libera alla guerra di Erdogan
Tempo di lettura: 4 minutiTanta confusione sulla guerra iniziata da Recep Erdogan contro i curdi del Nord-Est della Siria, per ora fermata da un cessate il fuoco grazie all’accordo tra Stati Uniti e Turchia.
Per la narrativa corrente Trump avrebbe dato il via libera a Erdogan. Ciò sarebbe avvenuto in una telefonata tra i due presidenti avvenuta il 6 ottobre scorso, due giorni prima dell’intervento.
La realtà, al solito, è diversa dalla narrativa. Il contenuto della telefonata tra i due presidenti si può leggere sul sito ufficiale della presidenza turca.
La telefonata Trump-Erdogan
Nella telefonata, i due avrebbero concordato sulla necessità di creare una “zona sicura” ai confini turco-siriani, come richiesto da anni da Ankara per “neutralizzare la minaccia” – asserita e pretestuosa più che reale – delle milizie curde che controllano il Nord-Est della Siria.
Nessun cenno a un’eventuale operazione contro i curdi. Nessuna luce verde.
Il 7 ottobre l’annuncio di Trump di ritirare le truppe dalla Siria, prima quelle al confine, poi tutte.
Una presenza illegale, dato che era una forza di occupazione che andava anche contro quanto autorizzato dal Congresso Usa, che aveva dato mandato di condurre operazioni anti-terrorismo e non altro.
L’attacco dei turchi
L’8 ottobre Erdogan inizia a bombardare massicciamente i curdi al confine (esercizio che va avanti da anni nel silenzio dei media internazionali). Il 9 attacca.
Una mossa che evidentemente Trump non si aspettava. Tanto che, pur blandendo i turchi in tweet che ricordavano il loro status di membro della Nato, in altro tweet, delle 05.55 dell’8 ottobre, scrive tutt’altro.
“Qualsiasi combattimento non forzato o non necessario [cioè difensivo] da parte della Turchia – si legge – sarà devastante per la loro economia e per la loro valuta già molto fragile. Stiamo aiutando i curdi finanziariamente / armi” etc…
È evidente che, dopo la telefonata cordiale del 6 ottobre, Trump non vuole rompere col presidente turco, ma il tweet dell’8 non lascia spazio a equivoci sulla sua contrarietà alla campagna militare.
La lettera a Erdogan
Non avendo alcun esito il suo appello, Trump decide di inviare al suo omologo turco una missiva inusuale, resa pubblica solo il 16 ottobre dal New York Times, nella quale chiede la fine delle ostilità, ribadendo la minaccia di “distruggere l’economia turca”.
Decisiva la data della missiva: 9 ottobre, appena iniziate le operazioni militari. Nella lettera, Trump spiega anche a Erdogan che il generale Mazloum, comandante in capo delle Sdf, le milizie curde, “è disposto a negoziare con te, ed è disposto a fare concessioni che [i curdi] non avrebbero mai fatto in passato”.
Tali concessioni non sono specificate, ma sono concrete, messe nero su bianco dallo stesso generale Mazloum in una lettera inviata a Trump e che questi allega alla missiva indirizzata al presidente turco.
Non sappiamo i particolari, ma il fatto che i curdi avessero accettato di far concessioni e aperto a un negoziato con Ankara (è la prima volta che accade) è dato di rilevanza primaria. Come anche il sostegno al negoziato del presidente degli Stati Uniti.
Data la successione degli eventi, è evidente che Trump non aveva previsto che la decisione di ritirarsi dalla Siria avrebbe scatenato le pretese di Erdogan. Così, tante accuse mosse al presidente Usa appaiono strumentali.
L’improvvida ritirata Usa
Certo, la ritirata dell’esercito dalla Siria è apparsa improvvida. Poteva essere effettuata meno in fretta e dopo un accordo turco-curdo-siriano.
Il punto è che Trump non può parlare con Damasco né con Mosca, dato che tali mosse avrebbero suscitato critiche altissime: se già adesso lo accusano di aver tradito l’America…
E probabilmente temeva che un ritiro non subitaneo avrebbe incontrato le solite resistenze interne e internazionali, quelle che gli hanno impedito di dar seguito nel passato a tale proposito, annunciato più volte e sempre vanificato dagli ambiti che vedono in questa mossa un ridimensionamento del ruolo globale degli Usa. Tant’è.
Ora l’accordo per il cessate il fuoco siglato da Pence e Erdogan, nonostante alcuni scontri, sembra nella sostanza tenere. Mentre l’esercito siriano sta prendendo il controllo di alcune città di confine, interponendosi tra le parti.
Siria: il caos non è finito
Ma tutto è sospeso, tante le complicanze del caos siriano, creato peraltro dagli ambiti che ora attaccano Trump per la crisi turco-curda.
Erdogan continua nelle sue minacce ed è possibile riprenda le ostilità. Troppo ambiguo il sultano di Ankara. Mentre resta aperta anche la questione del rapporto tra curdi e Damasco, ad oggi solo un accordo militare.
E resta il nodo del petrolio siriano che si trova nel Nord-Est del Paese, controllato finora da Usa e curdi. Damasco lo rivuole, ma non troverà vita facile sul punto.
Ieri Assad ha incontrato l’inviato Alexander Lavrentiev e Sergey Vershinin, rispettivamente inviato russo per la Siria e vice ministro degli Esteri di Mosca.
A conferma, come recita l’Agenzia Sana, che la Russia continua a sostenere la “sovranità e l’integrità territoriale della Siria” e nella prospettiva che Damasco recuperi il “controllo di tutti i territori siriani, comprese tutte le zone di confine”.