Ucraina e Medio oriente: cenni di distensione
Tempo di lettura: 4 minutiOggi vertice in Normandia. Da Emmanuel Macron sono convenuti Putin e Zelensky, i duellanti della crisi ucraina, oltre alla Cancelliera Angela Merkel, chiamata a sostenere l’impegno del presidente francese per ricomporre la frattura che ha portato criticità alla pax europea.
Si tratta di dare nuovo slancio agli accordi di Minsk che posero fine alla guerra ucraina, ma sono ancora disattesi dalle parti, con scambio di accuse incrociate.
Al di là dell’esito concreto del vertice, il suo svolgimento è già un successo, dato il forte contrasto.
A complicare le cose è anche l’impeachement contro Trump, incentrato su una telefonata tra il presidente americano e quello ucraino, che impedisce a quest’ultimo di godere dell’appoggio esplicito del presidente Usa nel suo impegno distensivo nei confronti di Mosca, come in passato (Piccolenote).
L’impeachement ha infatti congelato i rapporti tra i due presidenti. Da qui la nuova solitudine di Zelensky, che deve anche far fronte a una fronda interna: le opposizioni hanno minacciato sfracelli nel caso di concessioni a Mosca che oltrepassino delle fantomatiche linee rosse (Ria Novosti).
Normandia e Washington, strade incrociate
Ma anche da lontano, la Casa Bianca guarda a questo vertice con interesse, come dimostra la visita del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov a Washington, che non certo per caso ha luogo il giorno successivo al summit.
Lavrov incontra Pompeo in una visita a sorpresa, dato che gli ambiti che stanno muovendo guerra a Trump hanno messo nel mirino i rapporti con Mosca, come dimostra ancora una volta la procedura di impeachement.
È certo che i due ministri degli Esteri parleranno anche di Ucraina, tema che sta molto a cuore a Putin e sul quale Trump vuole discostarsi dall’amministrazione precedente, che aveva sostenuto la rivolta di Maidan portando Kiev in rotta di collisione con Mosca.
Insomma, sembra che la nuova Francia del nuovo Macron, intenzionato a ritagliarsi un ruolo da protagonista globale, abbia il pieno sostegno non solo della Germania, ma anche degli Usa in questa opera di mediazione.
E che Trump, nonostante stia giocando in difesa sotto il fuoco di fila dell’impeachement, non abbia rinunciato a dispiegare la sua agenda nel segno di una distensione internazionale.
Lo scambio di prigionieri Usa-Iran
Non solo nei confronti della Russia, ma anche nel delicatissimo Medio oriente, dove si registra un timido passo distensivo tra Teheran e Washington.
Due giorni fa, lo scambio di prigionieri: l’Iran ha rilasciato Xiyue Wang, un cittadino americano detenuto per spionaggio, e gli Stati Uniti hanno liberato l’iraniano Massoud Soleimani, accusato di aver violato le sanzioni contro Teheran (Reuters).
Se si tiene presente che il nuovo Consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, Robert O’Brien, è uno specialista in scambio di prigionieri, appare ovvio che la questione si sia giocata ai livelli più alti dell’amministrazione e che Trump ha dato certamente il suo placet all’operazione.
Piccolo cenno che si somma ad altro: nello stesso giorno dello scambio, il vice-ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araqchi, ha visitato il Giappone.
Quella che può apparire una semplice coincidenza temporale e una normale visita diplomatica è qualcosa di più. Da tempo Trump ha chiesto al premier giapponese di farsi portatore di una mediazione con l’Iran.
E due giorni dopo la visita, Abe ha annunciato che il Giappone sta lavorando per ospitare il presidente iraniano Hassan Rouhani allo scopo di “favorire la pace in Medio oriente” (Reuters).
Nessun “surge” Usa in Medio Oriente
In questa direzione va anche un’altra notizia: alcuni giorni fa l’annuncio del Wall Street Journal su un possibile potenziamento della presenza americana in Medio oriente. Il contingente Usa doveva addirittura raddoppiare, recitava il tam tam presto dilagato, fino a raggiungere le 14mila unità.
Una notizia di segno opposto a quanto aveva annunciato Trump a inizi ottobre, quando aveva dichiarato di volersi ritirare dalla Siria. Allora aveva dovuto fare una retromarcia che, secondo le recenti indiscrezioni WSJ, sarebbe diventato un ripensamento totale.
Dopo tanto tam tam di segno bellicista, quattro giorni fa la smentita del Pentagono, con tempistica interessante perché giunta il giorno dopo l’incontro tra Netanyahu e il Segretario di Stato Usa Mike Pompeo, al quale il premier israeliano ha chiesto un maggiore impegno americano contro l’Iran. La smentita indica che la pressione di Netanyahu è andata a vuoto.
Di oggi le dichiarazioni del nuovo ministro degli Esteri della Ue Josep Borrell, secondo il quale ripristinare il trattato nucleare iraniano “è fondamentale per la sicurezza globale” (Tansim).
Dichiarazione cui ha fatto eco il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, che per la prima volta si è detto fiducioso nell’entrata in vigore di Instex, il meccanismo che consentirebbe alla Ue di commerciare con Teheran evitando le sanzioni Usa (Tansim).
Ciò dovrebbe fermare la corsa al nucleare dell’Iran, iniziata dopo la revoca del trattato nucleare da parte degli Usa e il ripristino delle sanzioni contro l’Iran.
Insomma, cenni distensivi riguardo sia il Medio Oriente sia l’Ucraina. È un braccio di ferro di portata globale. Da seguire.