Nevada: inizia la corsa dell'oligarca Bloomberg alla Casa Bianca
Tempo di lettura: 4 minutiMichael Bloomberg partecipa al dibattito per le primarie del partito democratico in Nevada. E inizia la sua corsa ufficiale alla Casa Bianca. Finora, infatti, pur avendo inondato l’America di spot, non era stato ammesso a partecipare ai dibattiti ufficiali dei candidati democratici.
Un diniego che evidentemente Bloomberg ha aggirato grazie al favore di cui gode nell’establishement del partito e al suo patrimonio (è il sesto uomo più ricco del mondo).
La corsa miliardaria
L’oligarca, come lo ha definito una delle candidate, è diventato così un candidato come gli altri, con le opportunità e i rischi del caso. Da ora, piuttosto che attraverso social e media, potrà esporre le sue idee attraverso i dibattiti televisivi, decisivi per le sorti elettorali in America.
Ma allo stesso tempo si espone agli attacchi frontali degli altri candidati, in particolare a quelli dell’ala radicale, Bernie Sanders in testa.
Non sarà oggetto di critica solo il suo status di miliardario, che lo rende portatore degli interessi dei ricchi, ma saranno stigmatizzate anche sue dichiarazioni pregresse, emerse in questi giorni, contro le donne e i neri.
A complicargli le cose la recente indiscrezione sulla sua eventuale vice-presidente, in caso di vittoria alle presidenziali, che sarebbe la rediviva Hillary Clinton. Voce smentita, ma che ha lasciato segni, dato che tanto elettorato democratico avversa l’ex Segretario di Stato. Ma al di là dei rischi, era cruciale per Bloomberg essere ammesso al dibattito elettorale relativo al Nevada.
Il 3 marzo ci sarà il cosiddetto super-martedì, nel quale andranno al voto la maggior parte degli Stati Usa. Per avere qualche chanche di successo, Bloomberg deve, se non vincere, almeno convincere in quella fatidica tornata elettorale. E per farlo gli occorreva incardinarsi nella corsa regolare prima di quel giorno. Da qui l’importanza, più che del voto in Nevada, della sua partecipazione al dibattito dei candidati dem.
La decisione del Partito democratico di cambiare le regole del gioco per permettergli di inserirsi nella contesa ha ovviamente suscitato reazioni – peraltro Sanders lo aveva già accusato di volersi comprare la nomination -, evidentemente messe in conto.
Bloomberg, l’oligarca inclusivo
Vanno segnalati tre sviluppi importanti nella competizione per la nomination dei democratici. La prima riguarda la corsa di Bloomberg: egli si presenta come l’unico vero competitor di Sanders, l’unico a poter salvare il partito dalla deriva “socialista” che imprimerebbe la vittoria di Bernie.
Così mira a far convergere su di sé i voti dei candidati che si oppongono a Sanders. Gioco che appare facile con la sorpresa Pete Buttigieg, il cui nome è emerso prepotentemente in queste elezioni, e con Amy Kluchabar, giunta a sorpresa sopra Joe Biden nel New Hampshire.
Questi due candidati sono stati spinti dai liberal del partito (leggi Clinton) per erodere consensi al moderato Biden, inviso soprattutto perché intende riannodare un’intesa con Teheran.
La mission di Kluchabar e Buttigieg sembra arrivata a buon fine, dato che la candidatura di Biden è quasi affondata. Ora i due dovrebbero ritirarsi e spostare i loro voti su Bloomberg, almeno questa è stata la proposta del capo dello staff elettorale del miliardario (Axios).
Stessa cosa dovrebbe esser proposta alla radical Elizabeth Warren, la quale, pur se ha delle sintonie con Sanders, ha avuto con lui uno scontro pubblico al vetriolo. Questo il motivo della recente proposta di Bloomberg di tassare Wall Street (Sole 24Ore), simile ad analoghe proposte avanzate dalla Warren.
In tal modo, Bloomberg si presenterebbe come candidato inclusivo, in grado di rappresentare anche l’ala sinistra del partito, escludendo solo Sanders e il suo estremismo.
La gara di Sanders contro gli oligarchi
Secondo fatto rilevante riguarda Sanders, il quale sembrava destinato a condividere il destino del suo omologo laburista Jeremy Corbyn, affondato nelle recenti elezioni britanniche.
A Corbyn non giovò l’essersi inimicato tanto ebraismo, sia britannico sia israeliano (Timesofisrael), anche se la sconfitta deve essere ascritta a sue scelte errate.
Un’avversità che sembrava dovesse essere condivisa da Sanders, emblematico in tal senso l’articolo di Haaretz: “L’AIPAC deve fermare Bernie Sanders – a tutti i costi”.
Ma non sarà così, come dimostra l’articolo di Haaretz che recita: “Sanders dovrebbe sfruttare il fervore della sua base, inclusi molti giovani elettori ebrei, per vincere la nomination democratica e bloccare un razzista autoritario come Bloomberg”.
Non solo, Sanders, finora riluttante a dichiarare pubblicamente il suo ebraismo, lo ha messo a tema nella sua campagna elettorale dicendosi “orgoglioso di essere ebreo”.
Ciò sia per contrapporsi all’ebraismo ostentato da Bloomberg, che sperava di attirare a sé tale elettorato, sia per contrapporsi alla retorica di Trump riguardo la sua singolare prossimità a Israele.
Ma, nonostante sia riuscito a superare insidie, la corsa di Sanders resta in salita, sia per la forza di Bloomberg sia per l’avversità dell’establishement, non solo del suo partito.
Va tenuto presente che a spingere il sesto uomo più ricco del mondo a presentarsi alle presidenziali è stato l’uomo più ricco del mondo, Jeff Bezos, patron di Amazon e del Washington Post. A proposito di oligarchi e oligarchia.
Quando seppe tale retroscena, Sanders proruppe in una sonora risata (Des moines-register). L’ironia non gli manca. L’aiuterà.