Venezuela-Iran-Usa: alta tensione nei Caraibi
Tempo di lettura: 4 minutiIran, Stati Uniti e Venezuela sono impegnati in un braccio di ferro nel mar dei Caraibi. Cinque petroliere iraniane sono dirette verso Caracas, le cui coste sono vigilate da navi americane.
“Il Venezuela ha un disperato bisogno di benzina e altri prodotti combustibili raffinati per far funzionare il paese”, scrive il New York Times. Ciò a causa delle dure sanzioni emanate da Washington, non alleviate neanche sotto il flagello coronavirus.
Anzi l’amministrazione Trump in questi tempi bui ha addirittura incrementato le pressioni, inviando una flotta al largo delle coste venezuelane, con decisione che ha suscitato le giuste critiche del NYT in un articolo dal titolo significativo: “Non è il momento dei giochi di guerra con il Venezuela“.
Invece a Washington sembrano pensare il contrario, reputando che il collasso economico del Venezuela e il coronavirus (sic) possano favorire l’agognato regime-change.
Il Venezuela e la baia dei porci
A dimostrare la determinazione Usa, la recente operazione speciale ad opera di commandos il cui compito era seminare terrore in Venezuela e forse uccidere lo stesso presidente Nicolás Maduro.
Una spedizione fallita e rivendicata dall’ex berretto verde Jordan Goudreau, che ha detto di averla organizzata coordinandosi con Washington e Juan Guaidò, l’oppositore di Maduro che gli Usa hanno “nominato” presidente.
Una dichiarazione inconsueta, quella di Goudreau, dato che certe cose non si rivendicano, ma che ha una logica; Goudreau si è infatti lamentato che i suoi datori di lavoro hanno abbandonato i suoi uomini nelle mani del nemico, cenno che cela un palese ricatto che suona così: o li tirate fuori o rendo pubbliche le prove del vostro coinvolgimento (ovviamente negato).
La “baia dei porci” venezuelana l’ha definita un articolo del Washington Post, con annotazione suggestiva perché il fallimento della baia del porci segnò la fine del sogno di rovesciare il governo cubano tramite operazioni militari (si passò ad altri metodi).
È in questo clima che si inserisce il nuovo braccio di ferro Washington-Caracas, al quale partecipa un altro Paese flagellato dalle sanzioni Usa, l’Iran, che ha inviato una vera e propria spedizione a sostegno dell’alleato d’oltreoceano.
Sequestro ad alto rischio
L’iniziativa di Teheran ha suscitato reazioni, tanto che a Washington hanno minacciato una non meglio specificata risposta (Washington Post).
Ed è certo possibile, perché la spedizione aiuta due Paesi che gli Usa considerano ostili: il Venezuela otterrebbe le necessarie risorse energetiche e l’Iran rimpinguerebbe le sue casse più che estenuate.
Diversi media hanno riferito che gli Usa potrebbero abbordare le navi, come accadde nel luglio del 2019, quando, su indicazione Usa, le autorità di Gibilterra sequestrarono un cargo petrolifero di Teheran.
Secondo al Manar lo scenario non dovrebbe ripetersi. Anzitutto perché sarebbe un “atto di pirateria”, dato che il sequestro avverrebbe o in acque internazionali o in quelle venezuelane, nelle quali gli Usa non hanno alcun diritto ad agire (ma il diritto nella politica estera americana ultimamente latita).
Inoltre, scrive sempre al Manar, le navi iraniane hanno già attraversato mari presidiati dalla Marina Usa senza conseguenze, segno di un imbarazzo in tal senso da parte dei suoi antagonisti.
Ma al Manar dà anche un’altra spiegazione: “Mentre sono solo cinque le petroliere iraniane che navigano nell’Oceano Pacifico, sono centinaia le navi americane che circolano ogni giorno nel Golfo Persico, nel Mar Arabico e nell’Oceano Indiano”.
“Gli americani sanno benissimo che se osano abbordare una o addirittura cinque navi iraniane, gli iraniani potrebbero abbordare dieci navi americane. Avrebbe così inizio una guerra economica contro gli Stati Uniti e nessuna nave americana oserà più muoversi in questa regione”.
Guerra economica che in tempi di coronavirus e conseguente collasso economico-finanziario sarebbe ancor più disastrosa (e per questo a rischio escalation).
Di cortili, oro nero e altri colori
E però la follia che alberga in alcune stanze dei bottoni Usa non permette di escludere a priori l’ipotesi, come peraltro reputa Caracas, che ha mandato le sue navi da guerra a scortare quelle iraniane.
Quanto sta avvenendo nei Caraibi non è solo uno scambio commerciale di importanza vitale per i due Paesi, ma anche una sottile battaglia geopolitica, come scrive al Manar, dato che, se riesce, Teheran avrà dimostrato di avere la capacità di “infiltrarsi nel cortile degli americani”. E Maduro potrà vantare l’ennesima vittoria contro il nemico “imperialista”.
Con le navi venezuelane a coprire le petroliere e con Caracas che annuncia di essere “pronta a tutto“, gli ingredienti di una crisi ci sono tutti. Per gli Stati Uniti si tratterebbe a questo punto di aprire in simultanea due fronti di confronto diretto, cosa che in genere hanno evitato.
A condire la vicenda di colore due considerazioni. È possibile che il Venezuela abbia lanciato una sfida tanto aperta previo un accordo sottotraccia con qualche ambito Usa: potrebbe aver cioè promesso la libertà dei commandos prigionieri in cambio della luce verde alla spedizione. Un accordo che parte degli apparati Usa non potrebbero condividere, da cui un braccio di ferro segreto nell’amministrazione Usa.
La seconda riguarda Bandar Abbas: il 9 maggio l’intelligence israeliana ha lanciato contro tale porto un “distruttivo attacco hacker“. Per puro caso, quattro delle cinque petroliere iraniane sono state caricate di petrolio in quel porto. Ma forse, appunto, è solo colore.