17 Settembre 2020

Usa: i giorni terribili del post elezione

Usa: i giorni terribili del post elezione
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Sulle presidenziali Usa continuano ad allungarsi ombre oscure. Una settimana fa l’istruttivo articolo di Fareed Zakaria sul Washington Post, che ricalcava scenari già adombrati nelle nostre note: il giorno delle elezioni Trump sarà in testa al conteggio dei voti, ma il risultato sarà ribaltato dal voto postale.

È l’effetto “miraggio” già profetizzato dalla società che gestisce la campagna elettorale digitale del partito democratico e ripetuto più volte in questi giorni dai media mainstream, come un mantra ipnotico ad alto rischio di auto-avveramento.

Gran parte dei democratici, infatti, avrebbe dichiarato che, causa Covid-19, voterà via posta. Lo direbbero autorevoli studiosi, lo direbbero sondaggi accreditati.

Sondaggi che sono presentati come verità rivelata, nonostante si siano rivelati del tutto errati, o falsati, sia nel caso della Brexit, che tutti i sondaggi davano sicuramente per sconfitta, sia per le elezioni di Trump, anche lui sotto di 10 punti nei sondaggi pre-elettorali di tutti i media del mondo.

Ebbene, in base a tali sondaggi inappellabili, sappiamo che la maggior parte dei democratici voterà via posta, garantendo che il miraggio della vittoria di Trump, che il primo giorno di scrutinio abbaglierà il mondo, sarà di breve durata.

Il profeta relativo

Se abbiamo riferito l’ennesima variante della profezia elettorale è anche per il suo profeta. Non uno qualunque: Esquire definì Fareed Zakaria “il consigliere più influente di politica estera della sua generazione” e “una delle 21 persone più importanti del ventunesimo secolo”.

Accreditamento che gli rimase incollato a lungo, reiterato da quanti lo interpellavano come fosse un nume tutelare dei misteri del mondo, tra cui molti media italiani.

Carriera fulgida, che ebbe un intoppo quando inciampò a causa di alcuni evidenti plagi rinvenuti nei suoi scritti, che lo precipitarono dalle stelle alle stalle, con una parabola che evidentemente è tornata in ascesa.

D’altronde il mondo non poteva restare privo dei suoi vaticini, che tornano puntuali in queste decisive elezioni, in convergenza con altri di penne meno autorevoli.

Non si tratta di un esercizio di bassa polemica rispetto all’analista, a volte anche lucido, solo accennare a un retroscena che a nostro avviso può contribuire a relativizzare il suo irrevocabile vaticinio.

USA: il voto postale “massimizzato”

Sul voto postale val la pena riferire una notizia di certo interesse: il National Postal Mail Handlers Union, sindacato al quale aderiscono circa 47mila lavoratori delle Poste degli Stati Uniti, ha dichiarato che voterà Joe Biden.

Un endorsement che si aggiunge a quello dei lavoratori della Association of Letter Carriers (NALC), altro sindacato dei lavoratori delle poste che associa, tra attivi e pensionati, circa 300mila persone (The Hill).

Insomma, più o meno tutti i dipendenti del servizio postale degli Usa tifa Biden. Alquanto bizzarro per un’elezione che conferisce al voto postale un’importanza tanto decisiva.

Uno dei dirigenti della Hawkfish, società che cura la campagna digitale dei democratici, ha dichiarato che la loro società stava lavorando per “massimizzare il voto postale“. I cenni di cui sopra sembrano dar ragione del lavoro svolto.

Certo, non riteniamo che i lavoratori delle poste americane siano truffaldini, né il servizio postale ha compiti di scrutinio delle schede, ma in un’elezione tanto polarizzata e così acrimoniosa, nel quale il servizio postale ha assunto tale importanza, forse si poteva evitare una scelta di campo così “massimizzata”.

Trump dovrà abbandonare?

Di interesse anche notare che sia Zakaria sia un articolo di Daniel Baer per il Post  – nel quale si ipotizza un post elezione in cui Trump cercherebbe di contrastare l’esito sfavorevole del voto – indicano che nel caos dello scrutinio, nel quale si rincorrerebbero verdetti contestati sugli eletti dei vari Stati (che a loro volta dovranno eleggere il presidente) e ricorsi incrociati, sarà decisivo il ruolo della Corte Suprema.

In particolare, risulterebbe decisivo il ruolo del giudice a capo di tale Tribunale, John G. Roberts Jr, nominato da George W. Bush, l’ex presidente repubblicano che a stento nasconde la sua ostilità per Trump.

Trump ha già avuto a che fare con l’autorevole Tribunale, non trovandovi grande corrispondenza. Tanto da aver twittato: “Ho come l’impressione che alla Corte Suprema non mi amino”.

Elezione feroce, non una battaglia politica, ma una guerra senza quartiere e senza esclusione di colpi. Per cui è già stato versato del sangue e altro ne sarà versato. Che prefigura un post elezione nel quale Trump sarà oggetto di pressioni indicibili.

Tanto che nel suo “bell’articolo” – così Zakaria – Baer scrive che, “consumato dall’insicurezza e dalla codardia”, Trump seguirà l’esempio di Samuel Tilden, il quale nel 1876, pur avendo “vinto il voto popolare”, si ritirò, concedendo la vittoria all’avversario. Chi vivrà vedrà, nel caso specifico, non suona solo come un detto popolare.

 

Ps. Vi fu un tempo in cui la Us Postal fu il principale sponsor del ciclista Lance Armstrong. Vinceva tutto, poi risultò dopato, confermando le più o meno tacite accuse pregresse. Piccolo esempio di illusione ottica nel quale possono cadere tutti, anche l’eccellente servizio postale americano.

 

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