Il Covid-19 e la poliomielite, un confronto istruttivo (1)
Tempo di lettura: 3 minutiIn tempi di Covid-19, e di relativi vaccini, val la pena ripercorrere la storia del vaccino della poliomielite, uno dei più grandi successi della medicina moderna, una storia che presenta forti analogie con quanto sta avvenendo.
Anche allora si ebbe una sorta di guerra dei vaccini, mentre la battaglia contro la malattia fu vinta grazie all’intersezione tra i successi registrati in Oriente e in Occidente; una cooperazione che oggi, purtroppo, latita a causa dell’accesa conflittualità Est-Ovest – peraltro presente anche allora ma priva dell’attuale follia -, con grave nocumento per la lotta per debellare il virus.
L’articolo – anzi gli articoli perché l’abbiamo diviso in tre parti – nasce da un colloquio con la professoressa Anna Teresa Palamara, ordinario di Microbiologia presso l’Università La Sapienza di Roma.
La poliomielite era nota come una malattia terribile sin dai tempi più antichi: alcune raffigurazioni egizie rappresentano uomini con deformazioni ossee tipiche di tale patologia.
Solo alla fine del Settecento si scoprì che la malattia si trasmette tra persone, in modo epidemico. E, dalla seconda metà del secolo successivo, la polio diventò sempre più aggressiva, causando morti e paralisi in ogni dove, soprattutto tra adolescenti e giovani.
Bollettini ,asintomatici e altre analogie col presente
Da allora epidemie terribili si sono registrate in tutto il mondo, dalla Germania all’Australia agli Stati Uniti, con conseguente paura. Anche nel corso di tali epidemie accadevano cose analoghe al presente: per esempio in quella che colpì nel ’50 la città di Newark, la stazione radiofonica locale prese a diffondere un bollettino quotidiano, con aggiornamenti sul numero e la localizzazione dei casi in città. E, come adesso, l’impatto di quei numeri sull’opinione pubblica era terrificante e sconfortante.
Perché la poliomielite si diffondeva così rapidamente? Ora sappiamo che questa malattia è causata da un virus che si trasmette solo tra gli uomini e il contagio avviene fondamentalmente per via oro-fecale, attraverso l’ingestione di acqua o cibi contaminati. E che le scarse condizioni igieniche contribuiscono moltissimo alla diffusione del contagio, come accadeva allora.
Nella maggior parte delle persone l’infezione è asintomatica o provoca sintomi lievi, ma in alcuni soggetti il virus può provocare meningiti o colpire i neuroni motori, causando paralisi di varia gravità: dalla paralisi flaccida degli arti (soprattutto delle gambe) a quella che interessa i muscoli respiratori (che negli anni Cinquanta del secolo scorso era contrastata attraverso i tanto diffusi polmoni d’acciaio…).
Anche allora, come oggi, le persone asintomatiche costituivano un veicolo importante di contagio. La storia, dunque, si ripete…
Quel che ora diamo per scontato non lo è stato per secoli. Solo ai primi del ‘900, infatti, alcuni ricercatori suggerirono che la malattia potesse essere provocata da un virus e fu riconosciuta l’esistenza di portatori sani e la possibilità che questi potessero diffondere l’infezione. E solo successivamente si arrivò a constatare che l’infezione, se superata, è seguita da un’immunità duratura, dato che i guariti non si ammalavano più.
I primi, disastrosi, tentativi di approccio
Tanti ricercatori nel mondo lavorarono per cercare un vaccino specifico, dopo aver provato, invano, a combattere la polio con i vaccini utilizzati contro il vaiolo e la rabbia, che pure avevano salvato milioni di persone.
Nel 1931 Maurice Brodie e William H. Park (maestro di Albert Sabin, del quale parleremo in seguito), del New York City Health Department, immunizzarono delle scimmie con un vaccino inattivato con la formalina. Incoraggiati dai risultati, iniziarono subito a vaccinare 3mila bambini.
Un esempio seguito, in parallelo, da John Kolmer che, a Filadelfia, utilizzò un vaccino vivo e attenuato su alcune migliaia di bambini.
Ma a seguito della somministrazione dei vaccini, diversi bambini si ammalarono di poliomielite. Fu un disastro: i vaccini furono bocciati dalle Commissioni internazionali. Lo scalpore e la delusione dei ricercatori furono tali che Brodie si suicidò.
La marcia delle monetine
Il 3 gennaio 1938, con un appello sui quotidiani, Franklin Delano Roosevelt, allora Presidente degli Stati Uniti, colpito da una paralisi forse causata dalla poliomielite, creò la National Foundation for Infantile Paralysis (NFIP), allo scopo di raccogliere fondi per combattere la malattia.
In seguito l’opera del NFIP prese il nome di “marcia delle monetine” (March of dimes) perché il 20 gennaio di ogni anno (in occasione del compleanno di Roosevelt) i cittadini statunitensi erano invitati a versare dieci centesimi (un “dime”, il famoso “decino”) per combattere la polio.
La campagna si avvalse della collaborazione di tante celebrità del tempo, che prestarono volentieri il loro volto e la loro voce alla causa. I fondi a disposizione della NFIP per le ricerche divennero sempre più ingenti, favorendo le ricerche.
A dare una svolta a queste furono due ricercatori che lavoravano indipendentemente e sempre in feroce competizione tra loro: Albert Sabin e Jonas Salk..
(Segue)