La Nuland in Russia e la fine dell'Impero globale
Tempo di lettura: 4 minutiMentre si muove per rendere gestibile il confronto con la Cina, l’amministrazione Biden sta cercando di fare altrettanto con la Russia. Questo il senso la visita di Victoria Nuland in Russia di questi giorni. La donna presta servizio al Dipartimento di Stato, con la funzione di sottosegretario per gli affari politici, ma il suo curriculum dice poco della sua rilevanza nella politica estera americana.
La Nuland e Maidan
Neocon di rito clintoniano, la Nuland ha mosso i fili segreti della rivoluzione – o colpo di Stato – di Maidan, diretta a separare i destini dell’Ucraina da quelli della Russia, ma anche a distaccarla dall’Unione europea (celebre il suo famoso “Fuck off europe!” pronunciato in quei giorni).
L’Ucraina è il focus principale della contesa Usa-Russia, il fronte sul quale si rischia davvero una guerra mondiale, come è avvenuto nell’aprile scorso, quando a un’esercitazione troppo realistica della Nato si è contrapposto un massiccio schieramento di truppe russe, con Putin ad ammonire l’Occidente a non superare linee rosse che avrebbero causato una guerra aperta.
La criticità, allora rientrata, non è però stata risolta, stante che l’Ucraina ha un atteggiamento assertivo nei confronti della Russia, sia perché Mosca difende le regioni ribelli del Donbass sia per l’acquisizione russa della Crimea, che Kiev (e non solo essa) considera inaccettabile.
Da qui le continue agitazioni ucraine, con mosse e contromosse, sia sul piano diplomatico che bellico, che rendono la contesa sempre a rischio di escalation, con l’America costretta a difendere in ogni modo, e spesso controvoglia, il “bellicoso” cliente (sul punto vedi Ted Galen Carpenter sul National Interest).
Una criticità che l’accordo di Minsk, che ha posto fine alla guerra aperta tra Kiev e le repubbliche del Donbass, è riuscita a sedare, ma non a chiudere, perché i contendenti hanno dato seguito solo alla parte dell’intesa relativa al cessate il fuoco e poco altro.
Chiudere la crisi ucraina
La visita della Nuland è servita a rendere l’attuale cessate il fuoco definitivo, eliminando dal tavolo delle preoccupazioni di Washington la variabile ucraina. E per stilare un’intesa duratura, Biden ha dato l’incarico non a caso alla bellicosa Nuland, alla quale sarà chiesto dunque di esercitare pressioni su Kiev per attuare quanto, nel segreto, si è stabilito a Mosca.
Nel segreto, appunto, ché la visita è stata avvolta nel riserbo più assoluto e accompagnata dal silenzio dei media occidentali, nonostante la sua importanza. Né nulla si sa sull’esito dei colloqui, tranne le note russe che segnalavano passi avanti nei rapporti con gli Usa.
Passi avanti che Putin ha ribadito in una conferenza internazionale per l’energia, nel corso della quale ha dichiarato “che le relazioni della Russia con l’amministrazione Biden sono ‘abbastanza costruttive’ e ha personalmente sviluppato ‘relazioni stabili e di lavoro” con il presidente Joe Biden'” (Associated Press).In agenda, peraltro, ulteriori contatti diretti tra i due presidenti (Itar Tass).
Tornare a un rapporto gestibile con la Russia fa parte del nuovo orientamento dell’America, che sta chiudendo varie criticità per concentrarsi nella competizione con la Cina, come ben sa l’Europa che si vede relegata a un ruolo marginale nella scala degli alleati di Washington, che ormai privilegia i partner asiatici (e la Gran Bretagna, che asiatica non è, ma ha un ruolo asiatico importante per il suo passato coloniale).
Ma nelle profferte Usa a Mosca c’è anche l’esplicito invito a non supportare Pechino, così da lasciarla sola in questo confronto alzo zero. Un’offerta che, ovviamente, Mosca rifiuta, perché sa perfettamente che, se accettasse, avrebbe dei benefici nel breve-medio termine, ma sarebbe la vittima designata dopo la sconfitta del Dragone.
Il gioco degli Orazi e Curiazi non attecchisce a Mosca e la sua riproposizione seriale da parte di Washington ne rivela un certo deficit di intelligenza.
La Russia non si arruola nella crociata anti-Cina
A rivelare che la Russia ha ancora una volta rinunciato all’ennesima offerta Usa sono state le parole di Putin in un’intervista alla Cnbc al termine della visita della Nuland, intese a rassicurare Pechino, con cui Mosca ha ormai stabilito una partnership solida.
Così lo zar in relazione alla crisi di Taiwan, nodo focale dello scontro Cina-Usa: “Penso che la Cina non abbia bisogno di usare la forza” per raggiungere la sua desiderata “riunificazione” (Cnbc). “Essa è un’enorme e potente economia e, in termini di parità di acquisto, è la numero uno al mondo davanti agli Usa. Aumentando questo potenziale economico è in grado di realizzare i suoi obiettivi nazionali. Non vedo alcuna minaccia” di guerra (Dagospia).
Parole riecheggiate dal ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, che ha ribadito che la Russia considera Taiwan territorio cinese, come d’altronde quasi tutti i Paesi del mondo, tra cui, nonostante tutto, anche l’America, che non ha mutato la sua determinazione in favore della politica “One-China”, come ribadito di recente, in maniera implicita, dal presidente Biden.
Nonostante il rigetto dell’offerta, la visita della Nuland ha prodotto frutti, ed è probabile che la controversia ucraina vada a essere eliminata dal novero delle criticità globali, evitando all’America e alla Russia un inutile dispendio di energie.
Probabile che nell’incontro si sia parlato anche di altri temi, ma nel segreto dei colloqui si può solo immaginare che abbiano discusso di Antartide, che con lo scioglimento dei ghiacci è diventato una nuova fonte di risorse per tutti, con la Russia in prima linea; probabile che si sia toccato anche il tema dell’energia, dato che il mondo sta conoscendo una grave crisi energetica, e altro.
La fine dell’Impero globale
Ma al di là dei particolari della visita, e dei suoi segreti, l’attivismo della nuova amministrazione Usa per arrivare a una gestione controllata delle criticità globali con Russia e Cina non è solo un semplice ri-orientamento dell’America, ma è altro e ben più profondo.
Si tratta, in effetti, di un cambiamento epocale: l’Impero globale, il sogno nato nel post ’89, con la vittoria della Guerra Fredda da parte degli Usa, e che ha iniziato a concretizzarsi con la prima guerra all’Iraq (con il mondo ai piedi di Washington contro il dittatore Saddam) è finito.
La follia di quel sogno, rilanciato in maniera aggressiva con le guerre infinite post 11 settembre (che hanno prodotto tragedie altrettanto infinite), è svaporata con l’emergere di nuovi attori a proiezione globale, Cina e Russia. Si è aperta una nuova era, quella della competizione tra potenze, ma questa è un’atra storia, ancora tutta da scrivere.