Il missile della controversia e i crimini di guerra
Tempo di lettura: 4 minutiC’è controversia sulla strage di Kramatorsk, attribuita ai russi dagli ucraini e di conseguenza dall’Occidente, appiattito su Kiev. Secondo la versione ufficiale, con l’eccidio i russi vorrebbero fiaccare la resistenza dei civili.
Dal canto loro i russi hanno parlato di un’azione ucraina realizzata per criminalizzarli, sulla scia di quanto già avvenuto a Bucha. La controversia si è accesa quando i russi hanno rivelato che il missile era un Tochka – U, in uso agli ucraini e dismesso da loro nel 2020.
Dopo aver tentato di accreditare la tesi che a colpire fosse stato un Iskander, a fronte delle evidenze che era un Tocha-U, ci si è messi alla caccia dei Tocha-U russi, che ne avrebbero ancora alcuni nel loro arsenale.
E, infatti, Open ha scoperto che la 47a brigata missilistica dell’esercito russo aveva ancora quei missili (anche se nel gennaio gli sono stati consegnati i più nuovi Iskander) e a febbraio li ha usati durante un’esercitazione in Bielorussia,
Già, ma ciò non prova che i russi li abbiano usati in Ucraina, dove i Tockha-U sono stati usati altre volte dall’esercito di Kiev. Fonti filo-russe hanno fatto notare che i numeri di serie di alcuni Tockha-U lanciati dagli ucraini in passato sono prossimi a quelli dell’ordigno usato a Kramatorsk: quest’ultimo era Ш91579, mentre gli altri, usati nel 2015, erano Ш91566 e Ш91565.
Secondo La Repubblica ciò non costituisce una “prova schiacciante” che il missile che ha colpito Kramatorsk sia ucraino, dal momento che “un missile può essere uscito dalla fabbrica subito dopo un altro, ma questo non significa che entrambi siano finiti allo stesso esercito”. Vero, ma il cronista avrebbe dovuto terminare la frase, dal momento che se non è prova schiacciante, può considerarsi serio indizio.
Inoltre, sempre Repubblica, derubrica a inutile orpello un documento pubblicato su un altro media filo-russo che riporta in sovrimpressione anche la fonte, rustroyka1945, ed elenca uno stock di missili in uso all’esercito ucraino nel quale sarebbe registrato anche quello identificato a Kramatorsk.
Secondo il giornale “non esiste alcuna prova” che il documento in questione sia “vero”, perché “nessun governo o agenzia di stampa” ne ha confermato “la veridicità”.
Già, ma invece di gettarlo subito nel cestino, compito di un giornalista serio sarebbe provare a fare delle verifiche, magari chiedendo alla fonte che l’ha pubblicato se può provarne l’autenticità (si teme la risposta?).
Inoltre, sempre Repubblica, annota come complottista un’altra analisi basata stavolta sulla traiettoria e la frammentazione del razzo. Quando esplode, un simile ordigno, se caricato con testate a grappolo (come nel caso specifico), lascia dietro dietro di sé la coda, rimasta integra.
Così, unendo il punto d’impatto della testata e quello della coda si può individuare la traiettoria del missile, che secondo l’analisi conseguente proverrebbe da sud, cioè da una zona controllata dagli ucraini.
“Tuttavia – spiega Repubblica – c’è chi fa giustamente notare che le due parti del Tochka-U si separano, come è noto, a un’altezza considerevole. E che il modo in cui la sua coda cade a terra risente di diversi fattori, difficilmente calcolabili: l’angolo di lancio, per esempio, o il peso del carico che il missile trasporta“.
“Oltre a questo, andrebbe considerato che il corpo di un missile balistico si comporta diversamente, quando scende a terra, dalla sua testata. E va tenuto in conto che la coda possa sbattere e rotolare sul terreno prima di terminare la sua corsa”.
Certo, alcuni fattori potrebbero aver influito sulla traiettoria, ma non per questo l’analisi è sicuramente falsa. Ma al di là, quel che si nota in tutto questo è che siamo di fronte a tre indizi, di cui uno alquanto forte, cioè la prossimità del numero di serie dell’ordigno usato contro la stazione ferroviaria con altri due certamente usati dagli ucraini, che potrebbero portare a dare una spiegazione diversa all’accaduto.
Anche la motivazione dell’attacco russo non convince: se davvero i russi volessero fiaccare il morale degli ucraini, perché non bombardare subito a tappeto Kiev (vedi nota precedente) o altre città ucraine? Peraltro, ciò gli consentirebbe di limitare le perdite connesse alla loro conquista.
Insomma, tante le domande, così che appare del tutto ingiustificato che la responsabilità russa sia brandita come assurto dogmatico. Sembrerebbe più congruo il dubbio. Ma il confronto in atto non consente flessibilità, da cui il dogma di cui sopra. E quanti non accolgono il dogma sono dichiarati eretici e nemici esistenziali…
Da un massacro a un altro: alla strage di Bucha abbiamo dedicato diverse note, alle quali rimandiamo. Se ci torniamo è per aggiungere una domanda tratta da un articolo di Boyd D. Cathey: “Se sei al comando delle forze russe – al Cremlino – e certo comprendi l’immenso valore dell’opinione pubblica internazionale […] e come i media occidentali siano schiacciati sulla propaganda, perché si dovrebbe commettere una tale atrocità in piena vista, con corpi di uomini sparsi quasi simmetricamente lungo una strada principale della città? Non ha senso”.
Inoltre, ci si potrebbe chiedere perché la richiesta dei russi di una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu abbia incontrato il niet della presidente di turno, la britannica Barbara Woodward. Se le responsabilità russe erano così chiare, che timore aveva?
Chiudiamo con l’incipit di un articolo pubblicato su Antiwar dal sergente comandante Dennis Fritz, che fu tra, tra gli altri incarichi, anche primo consigliere dell’ex Capo di Stato Maggiore generale Richard D. Myers : “Il mese scorso cadeva il 19° anniversario dell’invenzione del vanaglorioso slogan ‘Shock and Awe’ [shock e terrore] da parte del nostro governo, che abbiamo usato per iniziare l’attacco all’Iraq – un’invasione che ha provocato l’uccisione di oltre un milione di iracheni…“.
Gli ambiti che oggi gestiscono le narrative ufficiali sull’Ucraina, con tanto di dettaglio sui crimini di guerra russi, furono feroci propugnatori di quell’invasione. Nessun crimine di guerra in Iraq, ovviamente, da parte degli americani…
E quando morì Colin Powell, che all’Onu agitò la famosa fialetta all’antrace di Saddam, l’omaggiarono come “patriota” tutti i feroci creatori dell’invasione, da Tony Blair a Dick Cheney, con pendant dell’attuale presidente Joe Biden, che quella sporca guerra appoggiò col suo voto…
Peraltro, è utile ricordare che gli Stati Uniti non riconoscono la Corte penale internazionale (e nemmeno l’Ucraina, si può notare). Anzi lo scorso anno, quando essa dichiarò di voler indagare sui crimini di guerra commessi nel conflitto afghano, Washington la sanzionò… Non si tratta di scusare i russi, ma di registrare un tripudio di ipocrisia che suscita tragica ironia.
PS. Oggi il Cancelliere austriaco, Karl Nehammer , è da Putin. Il secondo leader straniero a volare a Mosca dopo Bennet dall’inizio della guerra. Buona notizia, ma…