Le follie della guerra e il realismo dell'ipotesi coreana
Tempo di lettura: 4 minutiTre le notizie della guerra ucraina: la prime due di natura bellica, cioè l’attacco russo, nei pressi della città di Zaporizhzhia e gli attentati in Transnistria; la terza di natura geopolitica, cioè la chiusura dei rubinetti del gas russo a Polonia e Bulgaria.
Iniziamo dalla prima, di non poca rilevanza. Secondo fonti ucraine, i missili russi hanno distrutto un “edificio di natura commerciale“, provocando la morte di una persona. I russi parlano di un attacco che ha distrutto un magazzino in cui erano stipate armi inviate dall’Occidente all’Ucraina.
Più credibile la spiegazione russa, dal momento che non si usano missili Kalibr, molto costosi e precisi per colpire un supermercato. Inoltre, fa il paio con gli attacchi del giorno precedente, che hanno colpito e frammentato la rete ferroviaria ucraina.
Lo scopo di tali attacchi è ovvio: impedire che le armi Nato arrivino al fronte orientale, che poi è il problema attuale della Nato. Inviare armi in Ucraina non servirà a niente se non riusciranno a raggiungere il Donbass, nel quale si avrà il redde rationem.
Al di là del dilemma bellico, da rilevare che la spiegazione ucraina è indicativa anche della propaganda che hanno usato finora, e destinata a perdurare, per cui spesso gli attacchi russi contro obiettivi militari sono raccontati come diretti verso obiettivi civili. Particolare da registrare.
Inoltre, si segnala che nei pressi di Zaporizhzhia è situata la centrale nucleare più grande d’Europa, come peraltro sottolineato anche dagli ucraini. Immagazzinare armamenti nei pressi di una centrale atomica dà la misura della follia che anima l’intellighenzia Nato.
D’altronde è la stessa intellighenzia che ha costruito l’attuale esercito ucraino e che ne ha coordinato l’assetto difensivo innestandolo nel cuore dei centri urbani, come registravano con sgomento diversi analisti e attivisti dei diritti umani interpellati dal Washington Post.
Tanto che alcuni di loro si sono spinti ad accusare gli ucraini di usare i civili come “scudi umani”. Peraltro è quanto sta avvenendo nelle acciaierie Azovstal, nelle quali, oltre ai militari assediati, ci sono centinaia di civili.
i media nostrani hanno spiegato che si tratta di familiari degli assediati, una spiegazione che non spiega. Quale marito condannerebbe la propria famiglia alla morte? Quale donna sacrificherebbe il figlio alla gloria dell’Ucraina? Difficile immaginarlo.
Gli assediati si rifiutano di arrendersi, nonostante le tante profferte in tal senso, ed evidentemente non lasciano andare via i civili, iniziativa che sarebbe più che gradita dai russi perché libererebbe le mani alla loro azione.
Nei tunnel sotterranei sono sepolti anche 400 militari stranieri, riferisce il Time, e questa è un’altra ragione per non arrendersi, perché consegnerebbe nelle mani degli invasori combattenti americani, britannici e francesi di diverso ordine e grado, che evidentemente coordinavano le difese di Mariupol, con un danno di immagine per i Paesi suddetti.
Al di là del destino delle acciaierie, si segnalano gli attacchi terroristici contro obiettivi russi in Transnistria, regione della Moldova filo-russa dichiaratasi indipendente e sita a ridosso della frontiera ucraina.
Per fortuna nessun morto, ma le autorità locali e diversi analisti temono sia solo l’inizio di un tentativo di destabilizzazione mirato a riaccendere il confronto armato tra questa regione e le autorità centrali, scoppiato e chiuso agli inizi degli anni ’90.
Probabile si voglia aprire un altro fronte per i russi, che in tal modo dovrebbero disperdere le proprie forze, rendendole più vulnerabili. Risultano del tutto irrealistiche, proprio per tale ragione, le ipotesi di una false flag russa volta ad accusare gli ucraini, accuse che peraltro risulterebbero del tutto inutili, dato che non cambierebbe nulla nello scontro tra le opposte propagande.
Infine, sempre sul fronte guerra, la notizia di natura geopolitica riguardante la chiusura dei rubinetti del gas a Polonia e Bulgaria. Così il Washington Post: “La compagnia russa Gazprom ha dichiarato mercoledì di aver interrotto la fornitura di gas naturale a Polonia e Bulgaria, una mossa che segna una significativa escalation della tensione economica tra Mosca e l’Occidente”.
Nella frenesia di incolpare i russi di tutto, l’accusa di avviare un’escalation delle tensioni economiche merita un posto speciale, dal momento che Mosca è stata colpita da sanzioni alzo zero e la chiusura dei rubinetti è dovuta alla non accoglienza da parte dei due Stati clienti di Gazprom della richiesta del produttore di essere pagato in rubli e non in euro. Non una ritorsione, ma una banale legge del mercato.
D’altronde, l’iniziativa di far pagare il proprio petrolio in rubli ha contribuito non poco a salvare il Paese dal default, così che è alquanto ovvio che Mosca vi si aggrappi come a un salvagente.
Queste le conflittualità di ieri, una giornata che per fortuna non ha registrato scontri di grande portata. Resta la necessità di chiudere la guerra e la spinta a continuarla ad libitum, al modo delle guerre infinite che l’hanno preceduta.
Ormai tale spinta sembra prevalere, tanto che i negoziati di pace, avviati all’inizio dell’invasione russa, non sono più neanche tematizzati. E questo, più di altro, rende l’idea della drammaticità del momento, un momento che vede il trionfo della follia neocon sul realismo che scorre, in parallelo, nell’ambito della comunità della politica estera statunitense.
Sul punto riportiamo le considerazioni di Paul R. Pillar sul National Interest: “C’è una tentazione, che si riflette in alcune retoriche più dure dell’Occidente, di combattere questa guerra fino all’ultimo ucraino. Sarebbe moralmente sbagliato. Non sarebbe saggio anche per altri motivi oltre a al fatto che ciò prolungherebbe le sofferenze di ucraini innocenti”.
“È improbabile, anche se gli ucraini continueranno nelle prossime settimane a combattere con la stessa efficacia dimostrata finora, che un possibile accordo di pace ripristini il controllo ucraino su tutto il suo territorio, compresi Donbass e Crimea”.
“Zelensky sicuramente se ne rende conto, ma deve anche evitare il passo politicamente doloroso, e probabilmente politicamente suicida, di cedere formalmente il territorio di fronte all’aggressione russa”.
“La quadratura del cerchio probabilmente comporterà l’accettazione da parte di Ucraina e Russia di un disaccordo su tali territori, con una separazione de facto non accompagnata da alcun riconoscimento de jure da parte di Kiev”.
“L’unica alternativa plausibile a un accordo negoziato e firmato che potrebbe porre fine alla guerra – un conflitto congelato con un cessate il fuoco quasi stabile e le truppe russe ancora nella maggior parte o in tutto il Donbass e in Crimea – sarebbe per molti aspetti un equivalente funzionale del tipo di accordo appena descritto, anche se sarebbe meglio un armistizio formale concordato”.
È l’ipotesi coreana, che vive appunto di razionalità e realismo, indispensabili per chiudere l’attuale tragedia ed evitare i rischi crescenti.