La resa del battaglione Azov
Tempo di lettura: 3 minutiÈ terminato l’assedio alle Azovstal. Dopo il lungo assedio, agli ultimi combattenti del Battaglione Azov che si era asserragliato nelle sue viscere, è stato l’ordine di arrendersi. D’altronde la loro missione era terminata il 9 maggio, giorno in cui la Russia ha celebrato la vittoria sul nazismo.
Dal momento che in questa guerra, più di altre moderne, l’aspetto mediatico è più che importante, si doveva impedire che in quel giorno la Russia potesse rivendicare la conquista di Mariupol, città simbolo del conflitto (tanto che gli ucraini, nel giorno in cui hanno ceduto sull’Azovstal, hanno annunciato che vi si terrà la prossima edizione di Eurovision…).
Così, mentre la Russia teneva le sue celebrazioni, i media occidentali potevano parlare ancora della resistenza di Mariupol, degli “eroi” delle Azovstal, dei bombardamenti russi sull’acciaieria etc. Una volta finite le celebrazioni, il governo ucraino ha bellamente scaricato gli assediati, che fino al giorno precedente aveva sostenuto, con questi ultimi a promettere che non si sarebbero mai arresi.
Serviva ancora qualche giorno ai combattenti del Battaglione Azov per trattare la resa, cioè per cercare di lasciare le acciaierie da uomini liberi o, in subordine, per essere trattati da comuni prigionieri di guerra, evitando cioè di essere processati per crimini di guerra.
Ciò perché i neonazisti del Battaglione sono inseguiti dalla giustizia russa per le nefandezze indicibili compiute tra il 2014 e lo scoppio del conflitto attuale, con altre imputazioni sopravvenute nel corso della guerra stessa.
Ad oggi non si sa bene che fine faranno. Sul punto è da notare che in questi giorni è dilagata sui media occidentali la narrazione dello pseudo-processo imbastito dalle autorità ucraine a un giovane soldato russo accusato di crimini di guerra.
Un teatro imbastito con una tempistica precisa: serve, appunto, per proporre ai russi uno scambio di prigionieri (forse non il soldato processato, il cui destino potrebbe essere ormai bruciato, ma altri che potrebbero seguire); lo scambio, cioè, tra veri o asseriti criminali di guerra contro gli analoghi catturati dalla controparte.
Tra i fuoriusciti dalle Azovstal sembra ci siano anche “volontari” di Paesi Nato e non. Aviapro cita testimonianze che rivelerebbero la presenza di tre soldati britannici veterani dell’Afghanistan, mentre David Arakhamia, consigliere di Zelensky, ha dichiarato al Timesofisrael la presenza di “40 eroi ebrei”, annuncio che un articolo di Haaretz ha reso successivamente problematico.
Scritta per confondere le acque, la nota non conferma né smentisce tale presenza. ma semplicemente la dilava in un gioco di specchi tipico della propaganda dell’esercito israeliano, che ha nell’ambiguità strategica una parte essenziale della sua dottrina (gli consente, ad esempio, di condurre operazioni militari in territorio straniero senza dichiarare guerra).
L’esercizio del notista di Haaretz è comprensibile: l’annuncio di Arakhamia, infatti, suona alquanto imbarazzante per Tel Aviv, sia perché il Paese formalmente non è in guerra contro la Russia, sia per la collaborazione di tali eroi con i neonazisti dell’Azov (peraltro, forse sarebbe più fecondo che esercitassero il loro anelito per la libertà – che li ha condotti in Ucraina – in un ambito più ristretto, avendo a che fare da presso con la tragedia del popolo palestinese; ma evidentemente al cuor non si comanda…).
Infine, va sottolineato che lo stallo delle Azovstal è stato rotto dopo la telefonata tra Shoigu e Austin, nella quale si era parlato di un “cessate il fuoco”. Non si se la resa degli assediati sia stata concordata in tale occasione, ma si può legittimamente presumere.
Se così fosse – e così è – vuol dire che, su alcuni aspetti essenziali del conflitto, russi e americani, i veri duellanti di questa guerra per procura, possono ancora trovare convergenze. Aiuterà nella gestione del conflitto e, del caso, a favorirne una risoluzione (purtroppo non ancora all’orizzonte).
La conquista delle Azovstal “ha dato a Mosca il pieno controllo su una vasta distesa dell’Ucraina meridionale, che si estende dal confine russo alla Crimea, perché le forze russe sembrano rafforzare la loro presa su parti del sud che avevano conquistato all’inizio la loro invasione (New York Times).
Mosca ha così stabilito una continuità territoriale tra la Crimea e il resto della Russia (la Crimea ormai è russa, inutile dibattere sul tema): ha ottenuto cioè l’obiettivo primario dell’invasione.
Così, se l’America volesse, la guerra potrebbe finire qui e ora, con l’Ucraina che riprende orgogliosamente il controllo di Karkhiv, avendo dimostrato al mondo il proprio – vero o asserito – valore, e la Russia che si assicura il territorio suddetto, potendo rivendicare una vittoria, sebbene ridotta rispetto alle aspettative.
Ma questa guerra per procura è troppo lucrosa per tanti (anzi pochi), sia a livello geopolitico che economico-finanziario, da cui il suo feroce perdurare, con annesse tragedie globali. Così, ad esempio, sulla BBC: il presidente della Banca mondiale, David Malpass. ha avvertito che la guerra può causare una “catastrofe umanitaria”, perché “l’aumento record dei prezzi dei generi alimentari può ridurre centinaia di milioni di persone alla povertà e alla fame”.