L'Ucraina e il ritorno degli Usa come unica Potenza globale
Tempo di lettura: 3 minuti“È probabile che l’amministrazione Biden voglia far dimenticare di aver inizialmente consigliato a Zelensky di arrendersi”. Questo un piccolo cenno, contenuto in un articolo del National Interest dedicato all’Afghanistan, fa intravedere cosa si cela nelle pieghe segrete della crisi ucraina che sta sconvolgendo il mondo. E può rischiarare certo insondabile mistero sulla sua genesi.
Un mistero che inizia con l’ordine d’attacco di Putin, deciso d’improvviso e celato anche a molti dei suoi collaboratori più stretti. Un attacco sconsiderato anche nei numeri: un ex agente del Kgb, anche se colpito d’improvviso da un attacco di megalomania sconfinata, sa perfettamente che non si attacca un Paese di 45 milioni di abitanti, difeso da uno tra i venti eserciti più potenti del mondo (grazie ai crescenti aiuti della Nato), peraltro in perenne in assetto di guerra, con un’armata composta da solo 100mila uomini.
Basti pensare che quando l’America attaccò l’Iraq nel 2003, schierò 300mila soldati, ai quali si sommavano i 70mila curdi addestrati allo scopo. E l’Iraq aveva la metà degli abitanti dell’Ucraina ed era difeso da un esercito di straccioni (essendo stato distrutto nella prima guerra del Golfo con scarse possibilità di rigenerarsi a causa delle dure sanzioni).
Una scelta talmente improvvida da parte dello zar può spiegarsi certo con la decisione di anticipare le mosse di Kiev, che in quel giorni aveva avviato una campagna contro il Donbass che sembrava dovesse sfociare in un’offensiva su larga scala per riprenderne il controllo (questo il pericolo percepito, o forse ben noto, a Mosca).
Ma che probabilmente fu indotta anche da un altro fattore, che rendeva tale missione per nulla folle agli occhi dello zar, ovvero l’acquiescenza della Casa Bianca, con la quale era stata trovata un’intesa segreta (d’altronde Biden aveva promesso di chiudere le guerre infinite e la crisi ucraina partecipava, e partecipa, di tale dinamica).
Un’intesa che era stata palesata alle autorità ucraine in tutti i modi: sia con le reiterate dichiarazioni di Biden sul fatto che l’America non l’avrebbe aiutata in caso di attacco, sia attraverso un passo fortemente simbolico, cioè il trasferimento dell’ambasciata Usa a Leopoli alla fine di gennaio.
Questo spiega la mossa azzardata, che azzardata non appariva, di Putin, che prevedeva un’invasione poco più che simbolica e un golpe interno delle forze armate ucraine, parti delle quali erano d’accordo (golpe che Putin ha peraltro evocato pubblicamente quando l’intesa è saltata, con un’esortazione all’apparenza folle e di certo anch’essa improvvida perché pubblica).
il punto è che Biden conta poco o nulla, e quanti cercavano da tempo questa guerra hanno colto l’occasione per far scattare la trappola nella quale si dibatte ora il mondo.
Tali ambiti, americani e britannici, hanno messo alle strette Zelensky, che nei primi giorni aveva invece di fatto ceduto, e hanno stretto la morsa su Biden, relegandolo nell’angolo dal quale non è più riuscito a uscire.
Oltre, ovviamente, a chiudere una morsa inesorabile su quanti, in Ucraina, erano propensi a cambiare cavallo, prendendo il controllo della politica e dell’esercito, quest’ultimo posto sotto la diretta tutela della Nato e del battaglione Azov (e suoi consociati).
Momento simbolico di questo cambiamento di rotta fu quando Zelensky, invitato dagli americani a trasferirsi a Leopoli, rispose di non volere un passaggio, ma armi (interpretazione muscolare nella quale, peraltro, l’ex comico sembra sentirsi più a suo agio).
Tutto ciò non si può dire. Né russi né americani possono rivelare l’inconfessabile patto che avrebbe dovuto risolvere una volta per tutte la crisi ucraina, ponendo le basi per un processo distensivo globale, e che invece è stato usato da neocon e liberal – e dalle forze oscure dei quali sono terminali – per alimentare di nuovo il sogno dell’Unica Superpotenza globale che sembrava svaporare.
L’ausilio a Kiev non è quindi fornito per salvare l’integrità territoriale dell’Ucraina e il suo popolo, che non importa nulla ai Signori della guerra, adusi a incenerire Paesi e vite umane, ma per ripristinare il sogno suddetto attraverso questa nuova guerra senza fine.
E però, non tutti, nell’Impero, condividono tale prospettiva nefasta. Ma porre fine alla guerra sarà arduo, come dimostra anche il collasso forzato dei negoziati che nel primo mese di guerra aveva invece visto una delegazione ucraina tenere costantemente i contatti con un’analoga delegazione russa, avviando un dialogo che appariva di prospettiva.
Così il conflitto è destinato a durare, come affermano in maniera reiterata i terminali del partito della guerra – tra i quali spicca lo stolto Stoltenberg -, ma, sottotraccia, anche in America qualcuno sta tentando di frenare.
L’ammissione di un anonimo funzionario del Pentagono riguardo le palesi difficoltà di ricacciare i russi dal Donbass, riferita ieri da diversi media internazionali, va in questa direzione. Se tale consapevolezza realistica riuscirà a prendere piede, sarà più arduo al partito della guerra impedire alla lunga un negoziato.
Peraltro, l’indiscrezione filtrata dal Pentagono è circolata nel giorno della prima conversazione ufficiale tra il capo di Stato maggiore statunitense e quello russo, come se l’accompagnasse, conferendogli rilievo ulteriore… Vedremo.
Nel frattempo, la guerra ha portato inattesi frutti distensivi: l’amministrazione Biden ha revocato alcune restrizioni imposte a Cuba dall’amministrazione Trump (a novembre i democratici hanno bisogno dei voti della Florida, affollata di esuli cubani) e altre restrizioni contro il Venezuela, dal quale gli Usa potranno attingere il petrolio negatogli dai Paesi del Golfo. Decisioni che palesano l’ipocrisia di Washington, ma che comunque aiuteranno un pochino i popoli di tali Paesi.