L'America, l'aborto e le elezioni di Midterm
Tempo di lettura: 3 minutiLa Corte Suprema degli Stati Uniti ha abolito il diritto all’aborto. Questa la notizia che rimbalza su tutti i media, dividendo gli animi. Non entrando nel merito della questione, vale però la pena di capire cosa è successo e le sue conseguenze.
La sentenza sull’aborto
Per spiegare, occorre riprendere il filo della questione e lo faremo in estrema sintesi. Tutto nasce nel 1973 quando un team di avvocatesse convince Norma McCorvey, che aveva avuto tre figli e ne attendeva un altro da un uomo brutale, a intraprendere una battaglia per abortire.
Da qui la causa contro il suo Stato, il Texas, rappresentato dall’avvocato Henry Menasco Wade, e la sua legge restrittiva in materia. Dato il clamore che suscitò il caso, la McCorvey venne tutelata, finendo per essere identificata come Jane Roe, così che la diatriba legale divenne nota come il caso Roe versus Wade.
La vicenda approdò alla Corte Suprema, che dichiarò l’aborto un diritto della donna a prescindere. Un diritto che discendeva dalla Costituzione degli Stati Uniti, da cui la necessità di conformare a tale sentenza le leggi in vigore in tutti gli Stati del Paese (in vecchiaia, poi, la McCorvey si dichiarò pentita e anti-abortista, ma questa è un’altra storia…).
La sentenza fu poi confermata da un’altra decisione della Corte e il “diritto all’aborto” fu considerato come acquisito. Ma il fatto che i giudici della Corte siano eletti dai presidenti degli Stati Uniti infonde certo relativismo alle sue sentenze.
E il fatto che ora la maggioranza dell’assise sia composta da giudici nominati da presidenti repubblicani ha palesato tale relatività.
La Corte, infatti, si è trovata investita del caso “Dobbs versus Jackson Women’s Health Organization”, un’organizzazione, quest’ultima, che rappresentava le istanze abortiste contro la legge varata nello Stato del Mississippi, che ha reso illegale l’aborto dopo 15 settimane dall’inizio della gravidanza.
Da qui la sentenza che sta suscitando clamore, che non è una negazione dell’aborto tout court, come sembrerebbe da una lettura superficiale.
La Corte ha semplicemente dichiarato che la Costituzione americana non ha nulla a che vedere con l’aborto, il quale non è un diritto della donna garantito dalla Carta ed è quindi materia di legge ordinaria, appannaggio dei dei singoli Stati del Paese.
Nel piccolo, lo Stato del Mississippi aveva il diritto di applicare restrizioni, nel grande si tocca una questione di principio.
Per inciso, come annota il Washington Examiner, il presidente Emmanuel Macron ha protestato vibratamente per la sentenza, ma la legge francese è più restrittiva di quella del Mississippi, dichiarando l’aborto legale entro 14 settimane dall’inizio della gravidanza (e, sempre per inciso, anche la nostra legge in materia, prevedendo una finestra di 90 giorni per decidere se abortire o meno, è ancora più restrittiva).
Certo, altri Stati americani potrebbero porre limiti più restrittivi, se non addirittura rendere l’aborto illegale, ma la disponibilità di mezzi di locomozione e l’impossibilità pratica che tutti gli Stati d’America siano guidati da politici rigidamente anti-abortisti, renderebbe eventuali restrizioni praticamente non vincolanti.
Insomma, più che una norma, è una questione di principio, e di un principio etico, da qui le lacerazioni insanabili.
Non entrando nel merito della questione, ci limitiamo ad annotare che questa è e sarà la Battaglia sulla quale si concentrerà la dialettica politica in America, con dibattito che si rifletterà sul resto dell’Occidente.
Una Battaglia che distrarrà l’attenzione da problemi altri e molto più stringenti, come l’inflazione che, già incalzante durante pandemia, è stata aggravata dalle sanzioni anti-russe e sta impoverendo progressivamente gli americani e il mondo, col rischio di portare alla fame le moltitudini.
Per non parlare della guerra ucraina, riguardo alla quale i cittadini americani cominciano a manifestare insofferenza per l’indiscriminato sostegno americano, in particolare iniziando a interpellarsi sulle spese miliardarie per le armi destinate a Kiev a fronte dell’impoverimento di cui sopra.
I democratici si sono gettati ventre a terra nella Battaglia suddetta, che gli offre un’insperata ancora di salvezza in vista delle prossime elezioni di midterm, che prima della sentenza immaginavano come una sorta di forche caudine alle quali erano condannati a sottostare.
Peraltro, anche i repubblicani meno assertivi sul tema, incalzati da una base estrema e molto attiva, non potranno che sposare posizioni rigide, col rischio di alienarsi gli elettori moderati.
Insomma, quella che in appare come una grande vittoria dei cosiddetti conservatori, in realtà offre nuove chance ai cosiddetti progressisti, che se passeranno indenni le midterm (gli basta pareggiare), avranno altri due anni per mettere fuori gioco Trump e chi, eventualmente, osasse seguirne le orme.
Non per nulla, Trump, pur glorificando la sentenza (cosa che non poteva non fare), ha confidato alla sua cerchia interna che essa ha complicato le cose in vista delle presidenziali del 2024 (Rolling Stone). E non per nulla il suo più acerrimo nemico interno, il suo ex Vice Mike Pence, ha dichiarato che i repubblicani non dovranno “riposare finché l’aborto non sarà bandito in ogni Stato” d’America (Politico).
Mutatis mutandis, il tema aborto potrebbe avere la stessa funzione del tema razzismo, reso punto focale in prossimità di precedenti elezioni con il Black Lives Matter, che difficilmente potrà essere riutilizzato a causa dell’aura negativa che ormai avvolge tale movimento… vedremo.