Un intervento in Siria provocherebbe molte più vittime delle attuali
Tempo di lettura: 2 minutiLe dimissioni di Kofi Annan da inviato speciale Onu per la Siria rappresentano un duro colpo alle speranze di pace per quel Paese. Pubblichiamo un passaggio di un commento a questa notizia apparso sulla Stampa: «La soluzione diplomatica riceve dunque un fiero colpo. Eppure non c’è alle viste nulla di meno probabile di un intervento militare sotto l’egida dell’Onu. Sia Assad sia i ribelli sono ancora convinti di poter regolare per conto proprio la vicenda. E il fatto, tragico, è che hanno ragione. E comunque a nessuno dei contendenti può interessare uno stallo garantito da una forza di interposizione. Lo scenario che si profilerebbe di fronte all’invio di truppe nell’area sarebbe da incubo, con la guerra che si svolge casa per casa a Damasco come ad Aleppo, ad Hama… qualcosa che ricorderebbe molto di più la battaglia per Falluja, nel triangolo sunnita iracheno, che l’intervento in Kosovo o in Libia. Oltretutto, un qualunque intervento esterno non farebbe che accelerare la “cattiva internazionalizzazione” del conflitto, quel contagio che già ora si fatica a tenere a freno. A Tripoli, nel Libano settentrionale, sciiti e sunniti locali si stanno sparando addosso da settimane, mentre si fanno insistenti le voci di un coinvolgimento delle milizie di Hezbollah negli scontri in Siria e il loro capo Nasrallah rilascia dichiarazioni dissennate. Nel frattempo le frontiere turca e giordana hanno già registrato i primi morti, l’Iran ha formalmente dichiarato che non consentirà che la Siria sia occupata da forze straniere e Israele ha il dito poggiato sempre più nervosamente sul grilletto. Insomma, 17.000 morti in 17 mesi sono un numero enorme, ma un intervento esterno rischia di farne raddoppiare il numero in poche settimane».