I veleni del pentito sparito: ritratto tutto e accuso i pm
Tempo di lettura: < 1 minuteSi rifà vivo Nino lo Giudice, boss della ‘ndrangheta che si era pentito e si era accusato di un progetto stragista contro i pm di Reggio Calabria. Aveva fatto nomi, il boss, di complici e di “colletti bianchi”, iniziando una collaborazione con i magistrati oggetto dei suoi piani criminali. Ma poi il 3 giugno è sparito, mentre si trovava sotto protezione, e ieri si è rifatto vivo con una missiva che i suoi avvocati hanno reso pubblica, nella quale ritratta tutto e accusa i magistrati di averlo minacciato. Un mistero fitto, che inizia da quando il pentito è sparito dalla sua abitazione, mentre si trovava sotto la tutela delle istituzioni. Era già successo in un altro caso eclatante: Balduccio di Maggio, il pentito che aveva detto di aver visto Andreotti baciare Riina, spariva per week end criminali nel suo paese natale, durante i quali ha ammazzato alcune persone.
Non è un mistero, invece, che la criminalità organizzata non tolleri pentiti. Non ne ha mai avuti la ‘ndrangheta e lo Giudice rappresentava un’eccezione che conferma la regola. La sua ritrattazione ne è ulteriore riprova.
Anche la mafia ha avuto pochissimi pentiti. E controversi. Solo in alcuni anni si è registrata una fioritura di pentiti senza precedenti e senza reiterazione: gli anni della trattativa tra Stato e mafia (tanti di questi, come Di Maggio, avevano accusato Andreotti). Ma questa è un’altra storia che prima o poi andrà scritta.