Coccopalmerio: quando è Dio ad attendere consolazione dall'uomo
Tempo di lettura: < 1 minuteSull’Avvenire del 6 luglio in un articolo intitolato Se è Dio che attende di essere consolato il cardinale Coccopalmerio parla della parabola del figliol prodigo, spiegando che ad essere beneficato «dal ritorno del figlio» non è soltanto il figlio «che ha ritrovato la casa, i beni, gli affetti, la vita», ma lo è anche il padre, il quale «passava tutto il giorno soltanto a scrutare l’orizzonte» e «sarebbe certamente morto per il dolore di questa separazione». Uno degli indizi della «pura felicità» del padre, spiega Coccopalmerio, è «il fatto che il padre non dice mai al figlio: Ti perdono. Sarebbe banale. L’unica cosa che conta è che tu sia qui, è la mia gioia. Però è comprensibile che un padre soffra per la perdita di un figlio e quindi gioisca per il suo ritrovamento. È vero; però tra uomini. Ma questo padre è Dio stesso. E allora, è Dio che soffre per me e gioisce per me. Questo risulta stupefacente, anzi al limite del credibile. Non è forse Dio quell’Essere perfettissimo a cui non manca nulla? Come può dunque avere bisogno di me, per la sua gioia, per la sua vita?». Quindi, parlando della consolazione degli afflitti, conclude il cardinale: «Dobbiamo essere convinti che Dio aspetta con ansia di ricevere il nostro amore. Se non glielo dimostreremo, egli sarà afflitto come il Padre della parabola. A lui, soprattutto, dobbiamo pensare quando pratichiamo questa opera di misericordia».