San Lorenzo
Tempo di lettura: 2 minutiCadevano le bombe come neve,
il diciannove luglio a San Lorenzo.
Sconquassato il Verano, dopo il bombardamento.
Tornano a galla i morti
e sono più di cento.
Cadevano le bombe a San Lorenzo
e un uomo stava a guardare la sua mano,
viste dal Vaticano sembravano scintille,
l’uomo raccoglie la sua mano
e i morti sono mille.
E un giorno, credi, questa guerra finirà,
ritornerà la pace e il burro abbonderà
e andremo a pranzo la domenica,
fuori Porta, a Cinecittà,
oggi pietà l’è morta,
ma un bel giorno rinascerà
e poi qualcuno farà qualcosa,
magari si sposerà.
E il Papa la mattina da San Pietro,
uscì tutto da solo tra la gente,
e in mezzo a San Lorenzo,
spalancò le ali,
sembrava proprio un angelo con gli occhiali.
E un giorno, credi, questa guerra finirà,
ritornerà la pace e il burro abbonderà
e andremo a pranzo la domenica,
fuori porta, a Cinecittà,
oggi pietà l’è morta,
ma un bel giorno rinascerà
e poi qualcuno farà qualcosa,
magari si sposerà.
Francesco De Gregori
Sono passati settant’anni da quel 19 luglio 1943. È un lunedì, sono le undici di mattina e i B-17 della formazione aerea degli Alleati che volano a seimila metri di altezza hanno nomi da pin-up e da canzonetta: “Lucky Lady”, “Pretty Boy”, “Winnie Oh Oh”. Ma non ammiccano né cantano, rombano. E i sorrisi e le note che escono dalle loro mostruose bocche e pance sono bombe. Ne sganciano quattromila, su vari quartieri di Roma, tra i quali, appunto, San Lorenzo. Alla fine della cruenta performance – avvenuta in una dolorosa ricorrenza: il 19 luglio del 64 d. C. si consumò infatti l’incendio di Roma, in seguito al quale iniziarono gli anni della persecuzione neroniana contro i cristiani, tra i quali Pietro e Paolo – si contano tremila morti e undicimila feriti.
Nelle ore successive ci sarà abbondanza di polvere e sangue per tutti i sopravvissuti. E ci sarà lo spettacolo di case e strade completamente demolite. Ma soprattutto – custodita segretamente in qualche angolo del cuore perché non si disperda nel vento di parole sconfortate o illusorie – c’è la speranza di potere in qualche modo ricominciare a vivere in pace.
Francesco De Gregori pubblica questi versi in uno dei suoi album più belli, Titanic, del 1982. Sono quelli della canzone conclusiva, e De Gregori li intona accompagnato soltanto da un’allusione di pianoforte. Gli strumenti acustici, quelli elettrici e le percussioni di un disco che racconta soprattutto la fine di un’avventura vagheggiata come epocale – quella del transatlantico che avrebbe dovuto inaugurare le magnifiche sorti del Novecento e che invece ne avrebbe tragicamente preconizzato il doloroso movimento di morte – si fanno da parte in questo ultimo brano, per dare spazio alla sola voce. Che è quella della gente dei quartieri massacrati da una guerra che non vuol finire. La voce nuda e disarmata della speranza.
L’abbraccio di un Papa che scende tra le macerie del mondo, la domenica a pranzo fuori porta, il burro in abbondanza… E poi un futuro sperato – con quel “magari” – nelle cose più semplici e feriali.
E nella pietà, che se oggi è morta – così come muore in ogni momento nel mondo: in Siria, per esempio – un giorno, e sarà un bel giorno, rinascerà.
Paolo Mattei
Bombardamento di San Lorenzo – Roma 19 Luglio 1943 from Piccole Note on Vimeo