Bergoglio ai sacerdoti: la mondanità spirituale per la Chiesa è peggio di quella materiale
Tempo di lettura: 3 minuti«L’iniziativa viene sempre da Dio: l’unzione dello Spirito Santo, la speciale unione con Cristo capo, l’invito all’imitazione del Maestro. Il fatto di mettere in risalto l’iniziativa divina colloca il presbitero nella dimensione di “eletto-inviato”, vale a dire dentro un orizzonte, passi pure la parola, “passivo”, nel quale il protagonista principale è il Signore». Sono parole tratte da una riflessione tenuta nel 2008 dall’allora cardinal Bergoglio ai vescovi dell’arcidiocesi di Buenos Aires, dopo la Conferenza dell’episcopato latinoamericano ad Aparecida; un testo che recentemente Papa Francesco ha chiesto di far avere ai sacerdoti della diocesi di Roma, in vista dell’incontro per il nuovo anno pastorale che si terrà il prossimo 16 settembre a San Giovanni in Laterano.
«Senza lo Spirito Santo – si legge ancora in uno dei passaggi del testo – corriamo il rischio di perdere l’orientamento nella comprensione della fede finendo in una proposta gnostica; e senza lo Spirito Santo corriamo il rischio di non essere “inviati” ma di “partire per conto nostro” e finire disorientati in mille modi di autoreferenzialità. Nell’introdurci nel Mistero, Egli ci salva da una Chiesa gnostica; nell’inviarci in missione ci salva da una Chiesa autoreferenziale».
In un altro passo, il testo accenna alla misericordia di Dio. Così Bergoglio: «”Ci riconosciamo come comunità di poveri peccatori, mendicanti della misericordia di Dio” e abbiamo bisogno di aprirci a “la misericordia del Padre”. Questa coscienza di essere peccatore è fondamentale nel discepolo e ancor di più nel presbitero. Ci salva dal pericoloso scivolare verso una abituale (direi persino normale) situazione di peccato, accettata, aggiustata con l’ambiente, che altro non è che corruzione. Presbitero peccatore sì, corrotto no».
«Aparecida – spiegava ancora l’allora cardinale – chiede al presbitero “una spiritualità della gratuità, della misericordia, della solidarietà fraterna” e che abbia, come Gesù, una speciale misericordia con i peccatori e viscere di misericordia nell’amministrazione del sacramento della riconciliazione […]. Capita che molte volte i nostri fedeli, nella confessione, trovano sacerdoti lassisti o rigoristi. Nessuno dei due è veramente testimone dell’amore e della misericordia che il Signore ci ha insegnato e ci chiede di esercitare, perché nessuno dei due si fa carico della persona; ambedue – elegantemente – la scaricano. Il rigorismo la rimanda alla freddezza della legge, il lassista non la prende sul serio e cerca di addormentare la coscienza del peccato. Solo il presbitero misericordioso si fa carico della persona […], si fa vicino, e la accompagna nel cammino della riconciliazione. Gli altri non sanno nulla di prossimità e preferiscono scansare il problema, come fecero il sacerdote e il levita con l’uomo incappato nei briganti nel cammino da Gerusalemme a Gerico».
Quindi l’allora arcivescovo di Buenos Aires si sofferma sulla necessità che i sacerdoti siano «pastori di popolo» e non «chierici funzionari», mettendo in guardia, attraverso le parole di de Lubac, dal pericolo della «”mondanità spirituale”», il cui ideale è «”l’uomo e il suo perfezionamento, al posto della gloria di Dio”», ossia un «”umanesimo sottilmente nemico del Dio vivente e – segretamente, non meno nemico dell’uomo”», che «”può annidarsi in noi attraverso mille sotterfugi”» e che, se «”invadesse la Chiesa e lavorasse per corromperla attaccandola nella sua essenza, sarebbe infinitamente peggiore di ogni mondanità semplicemente morale. Peggio ancora di quella lebbra infame che, in alcuni momenti della storia, distrusse l’immagine della Sposa amata […], quando […] rappresentata da un Papa libertino, nascondeva il volto di Cristo sotto pietre preziose, tosature e spie”».