"Tutte le buone opere insieme, non eguagliano il sacrificio della Messa". Giovanni Maria Vianney - Seconda parte
Nei giorni immediatamente successivi al suo arrivo ad Ars, Giovanni Maria Vianney chiede di avere nella sua casa i mobili strettamente necessari: un tavolo, un pagliericcio come letto e poche sedie, un letto per gli ospiti, libri e un tavolinetto per scrivere. Poco si serve della signora Bibost, che vuole aiutarlo, e si cucina da solo: patate bollite che conserva in un paniere e pani di grano saraceno. Continua una dieta simile per anni, senza mai essere sfinito o provare fatica: «Noi ci lamentiamo di soffrire, avremmo molte più ragioni di lamentarci di non soffrire, poiché nulla ci rende maggiormente simili a nostro Signore». Ma spesso dolcezza e delicatezza sono più forti del digiuno; così accetta i pasti che i parrocchiani gli offrono, per non disprezzare la loro generosità. Nonostante questa austerità, Giovanni Maria è un uomo gaio. «Il buon Dio è la gioia di coloro che lo amano», dice. Ma più che austerità e povertà personale a colpire chi lo conosce è il modo con il quale dona quel che possiede: offre un biglietto di venti franchi con la stessa facilità di una monetina di pochi centesimi.
Già, perché il santo sacerdote distribuisce a chi ha bisogno tutto il denaro che viene da una sua personale rendita – percepita dopo la morte del padre – e le offerte dei benestanti. Alla fine della sua vita, assai popolare e assillato dei devoti che desiderano conservare un suo ricordo, vende ad alti prezzi vecchie cotte, scarpe, tende, sedie sbilenche, l’orologio e ne dona il ricavato ai suoi parrocchiani poveri; i suoi ultimi franchi, invece, sono per il medico che lo ha curato. Dirà: «Non ho mai visto qualcuno rovinarsi facendo opere buone».
Giovanni Maria ama la preghiera; tante ore al mattino, prima della messa e tante nel resto della giornata. Spesso rimane in silenzio a lungo, con gli occhi fissi sul tabernacolo. E’ rapido nel celebrare ma, dopo la consacrazione, fissa l’ostia per lunghissimi minuti. La candela della sua camera resta accesa fino a tardi, a indicare che il sacerdote sta recitando il rosario anche in quelle ore notturne, senza stancarsi, lasciando al riposo solo quattro o cinque ore. «Al buon Dio piace essere importunato con la preghiera», spiega. Nonostante angosce e pene interiori, e la sensazione di indegnità a causa della sua ignoranza, egli si abbandona alla volontà di Dio, al suo amore, «come alla più tenera delle madri».
Fa continue visite ai parrocchiani; le sue preoccupazioni sono dirette ai bambini, che stentano a seguire il suo catechismo: non scolarizzati e costretti a duri lavori i maschi, mentre le femminucce sono trattate alla stregua di serve. Il sacerdote riesce a persuadere genitori e padroni che li lascino andare in chiesa a ricevere il suo insegnamento e poiché la maggior parte di loro non conosce il francese, il curato chiede ai più grandi di tradurre ai più piccoli le sue parole. Da questa prima esperienza nascerà l’idea di aprire vere e proprie scuole. Vianney appare sempre buono, servizievole e sorridente, ma i suoi sermoni e insegnamenti sono rigorosi: minaccia l’inferno, ma piange al pensiero dei dannati; chiede la rinuncia al peccato mortale, ma ritorna sempre all’infinita misericordia di Dio, al Suo amore tenero fattosi eucaristia.
Nel 1827 il curato rinnova l’altare e i paramenti sacri per le celebrazioni e non gioca al risparmio; la sua fede nella presenza reale di Cristo nell’ostia consacrata è il cuore della sua vita spirituale. Egli ritiene che nulla è troppo bello per il Signore: «Se avessimo la fede, vedremmo Gesù Cristo nel Santo Sacramento come gli angeli lo vedono in cielo. E’ lì. Ci aspetta». Abbellisce la cappellina dedicata alla Madonna e ne dedica una nuova a San Giovanni Battista; tenta con ogni sforzo di ricostruire quello che la rivoluzione aveva abbattuto.
Nel marzo del 1824 Vianney acquista una casa modesta: due camerette al primo piano e una sala al pian terreno. Nell’autunno dello stesso anno aprirà la scuola per ragazze con il nome la “Provvidenza”. È completamente gratuita e raccoglie anche le fanciulle di villaggi vicini. Pian piano, grazie alle donazioni di benefattori, la “Provvidenza” si ingrandisce e raccoglie anche orfane e giovani donne in difficoltà; qui si mangiano solo pane, patate e frutta e si dorme su pagliericci, ma sono tutte felici. La scuola della “Provvidenza” resterà aperta, sebbene Giovanni Maria, a malincuore, dovrà obbedire al vescovo di Balley e lasciar condurre l’istituto da un ordine di religiose.
Sarà anche il grappin (così il curato ironizzava sul demonio che lo aveva “arpionato”) a dargli il tormento, per tanti anni, tutte le notti. Rumori e tremori nel cortile, violenti scossoni delle porte non lasceranno mai tranquillo il curato per tutto il resto della sua vita a partire dal 1823. Lo scetticismo di molti suoi collaboratori che nulla sentono, nonostante la coabitazione, fa sorridere Vianney, il quale sa bene che è il suo nemico, ma dice: «Il buon Dio è più buono di quanto il diavolo sia cattivo. È lui che mi protegge; e quello che Dio protegge è ben protetto».
Per comprendere la fama del curato d’Ars, bisogna ricordare anche l’importanza delle sue missioni diocesane a partire dal 1815, durante le quali amministra a una moltitudine di persone il sacramento della penitenza; in giro nella piccola regione, incanta tutti per la sua accoglienza, la sua bontà, la sua perspicacia, la sua profondità. Allora ci si mette in coda e si attendono ore per potersi confessare da lui. Ad Ars vi è una vera e propria invasione di pellegrini che hanno sentito parlare del curato e vogliono confessarsi. Si crea anche un enorme commercio della sua immagine e lui ne è profondamente contrariato, ma quando gli viene detto che il ricavato serve anche a sfamare la povera gente, egli sorride bonario e lascia fare.
Il flusso di gente continuo che si appressa ad Ars costringe il curato a cambiare vita. Il tempo delle lunghe preghiere è terminato: nella penombra della sua chiesa, all’una di notte, le donne attendono Vianney per confessarsi. Fino alle sei del mattino le ascolta, poi celebra la messa, si reca alla “Provvidenza” e fa ritorno in chiesa per confessare gli uomini. Si interrompe per pochi minuti, per altre mansioni e, rapido, riprende a confessare. Così fino a sera, dopo aver fatto il catechismo ai suoi bambini, consumato il suo misero pasto, pulito la sua stanza, benedetto i pellegrini giunti da chissà dove per ascoltarlo o solo vederlo; egli trascorre ore ad ascoltare i penitenti con la bontà profonda del suo cuore e la grazia dello Spirito Santo. Rinuncia alla severità dell’inizio del suo ministero, per non essere che l’uomo del perdono e della misericordia: «Il buon Dio perdona un peccatore più velocemente di quanto una madre ritira il suo figlio dal fuoco», spiega a chi chiede. Chi ha ricevuto da lui il sacramento della confessione, elogia le sue facoltà di discernimento. Giovanni comprende tutto e presto; ma soprattutto è breve: una esortazione, una domanda pertinente ed è tutto. E tocca il cuore: succede qualcosa quando ci si confessa da lui, come dicono i tanti che si rivolgono a lui per chiedere il perdono del Signore.
Per parte sua, il curato partecipa a quelle riconciliazioni con tutto il cuore: si commuove, sospira, piange. A chi gli chiede di incontrarlo fuori dal confessionale, dice che non è né un filosofo né un pensatore; è capace solo di confessare e invita chi vuole parlare con lui, piuttosto, a ricevere il sacramento nel quale rifulge l’infinita misericordia del Signore: «Il buon Dio sa ogni cosa, sa già che dopo esservi confessati peccherete di nuovo, eppure vi perdona. Che amore quello del nostro Dio, che arriva fino a dimenticare volontariamente il futuro pur di perdonarci!».
Giovanni Maria chiede molto al suo corpo; fatiche e malnutrizione lo porteranno presto ad ammalarsi seriamente. Tra il 1842 e il 1843 soffre di gravi problemi polmonari, che lo condurranno vicino alla morte, ma guarisce. Ha però bisogno di riposo. Decide di lasciare Ars e di trasferirsi a Dardilly, presso il fratello. Chiede anche al vescovo di esimerlo dalla responsabilità di parroco e nominarlo cappellano di un piccolo luogo di pellegrinaggio alla Madonna. Ma la disperazione dei cittadini di Ars e i loro appelli toccano il cuore del curato; inoltre il vescovo preferisce che questi ritorni al suo villaggio. Giovanni Maria obbedisce: evidentemente Dio lo vuole ad Ars e non altrove. La gioia all’annuncio del suo ritorno è enorme, la commozione incontenibile.
Vianney cercherà ancora, in futuro, di abbandonare Ars; vuole finire i suoi giorni pregando in silenzio, presso i padri maristi a Neyliere, dove un suo vecchio discepolo, padre Colin, sarebbe felice di accoglierlo. Ma Catherine Lassagne, sua amica e cofondatrice della “Provvidenza”, e l’Abbé Toccanier, suo aiutante, faranno sempre in modo che i suoi tentativi di “fuga” vengano sventati. Anche il vescovo gli lascia intendere che Ars è la sua prima ed ultima destinazione. Tra l’altro, la sua salute peggiora, Giovanni Maria non può assistere al funerale del fratello Francesco, nel 1855, perché non in grado di sopportare il viaggio in vettura. Ha bisogno molto più spesso di dormire e di nutrirsi meglio; mette una piccola stufa in sacrestia, e cerca di evitare di muoversi all’esterno della canonica, dove una folla di pellegrini lo attende sempre, anche solo per toccarlo. Nonostante tutto, il curato è paziente; in mezzo a tante difficoltà non smette di fare catechismo, anche se ormai si fa fatica a sentire la sua voce.
Nell’estate del 1859 Giovanni Maria si indebolisce sempre di più. Il 29 luglio sarà il suo ultimo giorno di confessore. La sera del 2 agosto riceve l’eucarestia e l’estrema unzione. I pellegrini, riuniti ovunque ad Ars, pregano per la sua guarigione. Il curato li benedice tutti dal suo letto, sollevando il crocefisso; ormai non può più parlare. Giovedì 4 agosto, Giovanni Maria Vianney muore serenamente alle prime ore del giorno. Sarà canonizzato il 31 maggio 1925 da papa Pio XI.
La Chiesa ha scelto Giovanni Maria Vianney come patrono dei sacerdoti. Così concludiamo con una frase del curato d’Ars sul proprium del ministero sacerdotale: «Tutte le buone opere insieme, non eguagliano il sacrificio della Messa in quanto sono opere di uomini e la Santa Messa è opera di Dio. Il martirio non è nulla in confronto; è il sacrificio che l’uomo fa della propria vita a Dio; la Messa è il sacrificio che Dio fa all’uomo del suo corpo e del suo sangue. Oh, quanto grande è il sacerdote! Se egli lo capisse ne morirebbe […]. Dio gli obbedisce; dice due parole e nostro Signore scende dal cielo a questa voce e si rinchiude in una piccola ostia. Dio guarda sull’altare e dice: “Quello è mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto”. Nulla egli può rifiutare per i meriti dell’offerta di tale Vittima».