Notes, 2 ottobre 2002
Tempo di lettura: 2 minutiMissive. Piace questo dialogo tra Eugenio Scalfari e papa Francesco, fatto di missive e interviste. E suscita speranza, perché, al di là delle possibili felici conseguenze, fa entrare aria nuova nella Chiesa. A tutti i livelli.
Altrove abbiamo accennato ai contenuti di questo dialogo, che comunque sono secondari rispetto all’approccio: quando c’è reciproca buona volontà tutto è più facile e non ci si aggrappa alle parole.
Questo dialogo ci fa tornare alla memoria altro e più antico: quei piccoli articoli che negli anni novanta don Luigi Giussani consegnava alla Repubblica. Commuovevano i brevi cenni ivi contenuti. Ma commuoveva anzitutto quella intestazione: “Caro direttore”, rivolta a Eugenio Scalfari. Un’espressione che, per chi ha conosciuto anche di lontano il sacerdote ambrosiano, non era solo usata cortesia. E che più che a un articolo di giornale faceva pensare, appunto, a una missiva.
Don Giussani che, in una delle ultime interviste pubbliche prima di morire, consegnata al quotidiano Libero il 22 agosto del 2002 (ripresa da 30giorni), aveva usato per ben venti volte l’espressione carità, come attributo fondamentale di Dio (“Essere-carità” e “mistero-carità” le espressioni ricorrenti). Dio è carità, che poi è la sintesi del messaggio che sta portando al mondo e alla Chiesa Papa Francesco il quale ne declina gli aspetti: misericordia, tenerezza, mitezza, pazienza…
Colpiva, in quell’intervista, anche questo cenno: «La preoccupazione più grande per noi dev’essere questa: che con semplicità di parole l’esperienza del Mistero torni tra la folla, tra la gente-gente». Che Francesco, con altre parole – semplici, come nell’accenno di don Giussani -, ribadisce oggi in altro modo quando chiede alla Chiesa di aprirsi per andare verso le periferie esistenziali (ancora più poeticamente, parlando ai presuli brasiliani aveva detto riguardo all’evangelizzazione degli uomini del nostro tempo: «Serve una Chiesa che non abbia paura di entrare nella loro notte. Serve una Chiesa capace di incontrarli nella loro strada»).
Non si tratta di ascrivere a Francesco certe lontane intuizioni. Ma di rallegrarsi per certe consonanze che danno conto di una promessa compiuta. Come accade delle promesse del Signore.