29 Gennaio 2014

"Così il capo della mobile e lo 007 mi chiesero aiuto per cacciare Falcone"

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Parla un’altra volta il pentito Franco Di Carlo, a suo dire un intermediario tra le cosche e i vari referenti delle stesse. Aveva già parlato a suo tempo, discettando dello scibile umano, tra l’altro la morte di Calvi. Lo fa ora a distanza di anni spiegando ulteriori cose, ovvero accusando un capo della polizia, defunto, e un agente dei servizi di essere collusi con la mafia. Ora che la mafia possa trovare convergenze con apparati e istituzioni dello Stato è assodato, ma resta la domanda del perché solo ora il pentito (?) si sia deciso a dare informazioni diverse da quelle rese allora. A domanda risponde: «Nessuno me lo ha chiesto». Risposta alquanto singolare per un personaggio che, dopo una vita dedita a incrementare il potere di un’organizzazione criminale, si era deciso a collaborare con la giustizia. Ma alle dichiarazioni a rate, secondo le esigenze e agli interlocutori del momento, siamo alquanti usi in un Paese dove i collaboratori di giustizia vengono chiamati pentiti e nei quali le dichiarazioni di pluriomicidi sono accreditate prima di, e a volte anche senza, qualche riscontro.

La singolarità di quanto sta avvenendo in questi giorni è che Totò Riina ha preso a parlare: dei bei tempi quando ammazzava persone a profusione, dei suoi rapporti con i vari boss mafiosi, oltre a lanciare oscuri messaggi. Chiacchierate che ora finiscono in televisione come una qualsiasi fiction (si potrebbe titolare: Ora d’aria). Ma qui si tratta di vita reale, come reali sono le persone che minaccia Totò il corto. C’è qualcosa di strano in questo ritrovato eloquio dopo un decennio di silenzio. Come è anomalo questo rilancio mediatico delle sue dichiarazioni.

Totò probabilmente non è il boss dei boss dipinto da certe agiografie, ma certo è stato un referente della mafia in anni cruciali. Sa cose e questo sua loquacità improvvisa non sembra affatto un vaniloquio. Sa bene di essere intercettato: anche se non è il genio del male dipinto, ma la banalità del male, per usare un’espressione di Annah Arendt, non è sprovveduto fino a questo punto. E parla.

Non un vano sproloquio, quindi, ma un tentativo di mettere in campo una trattativa, l’ennesima, con qualcuno. Per ottenere benefici, che possono essere carcerari, oppure indiretti e rivolti a beneficiari esterni, magari i suoi ex picciotti rimasti nell’ombra o altri. L’ennesima trattativa Stato-mafia: allora, ai tempi in cui questa portò all’assassinio di Falcone e Borsellino e delle rispettive scorte, più segreta; questa a mezzo stampa e televisione. Da capire se per ottenere benefici il boss è pronto a dire quel che sa oppure se, pur di ottenere qualche beneficio, è disposto a dire cose inventate (che, dato il personaggio, avrebbero patina di verità), funzionali a progetti dei soggetti interessati alla trattativa.

A meno che la trattativa non sia già avvenuta e che questo ritrovato eloquio ne sia il risultato. Un dubbio, nulla più, impossibile tra provare (magari tra venti anni..). Difficile districarsi nei meandri di questa zona d’ombra che accomuna alcune organizzazioni mafiose e certi apparati e ambiti dello Stato (o degli Stati). Falcone e Borsellino sapevano farlo, data la loro conoscenza della mafia. Probabilmente sono stati ammazzati per questo. Speriamo che altri, più fortunati (e protetti dallo Stato), siano in grado di prenderne il testimone.

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