18 Marzo 2014

Renzi, la professoressa di tedesco e il Quirinale

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Il primo vero viaggio di Renzi da presidente del Consiglio, dopo il tour turistico in Tunisia, è in Germania, interlocutore obbligato da anni di tutti i primi ministri italiani. D’altronde è a Berlino che si decidono le sorti dell’economia italiana (e non solo) più che a Roma, in questa deriva che attanaglia quella che un tempo era l’Unione degli Stati europei e che oggi è uno spazio di esercizio dell’egemonia teutonica. Il ragazzo di Firenze ha portato con sé belle speranze, illustrato i suoi progetti e ha guadagnato la possibilità di attutire dello 0.2 % il disavanzo dell’Italia: dal 2.6% al 2.8%. Una conquista decisiva che risolleverà le sorti del Belpaese. Oltre a questo importante risultato il nuovo premier italiano incassa gli elogi della Merkel che avrebbe mostrato fiducia nel ragazzo. Per manifestare la sua stima sembra abbia portato con sé anche le slide usate dal Matteo nazionale in occasione della presentazione del suo programma di governo, un particolare sottolineato dai giornali come importante segnale di fiducia. Sarà. Sembra più la maestrina che mostra allo scolaro il suo compito sorridendo accondiscendente per l’impegno profuso al di là del risultato.

Matteo si mostra fiducioso e soddisfatto del suo viaggio, d’altronde appartiene alla sua natura di ragazzo ottimista. Ma al di là del tour teutonico, l’ex sindaco di Firenze sta imparando che una cosa è prendere il potere, altro è gestirlo. La prima cosa è stata facile, la seconda un po’ meno. Ha fretta Matteo, vuole bruciare le tappe. Anche se finora ha mostrato pochino: la televendita di Palazzo Chigi nella quale ha illustrato il suo programma è stata simpatica. Al Paese il nostro ha mostrato il suo set di pentole e tegami, sfoderando sorrisi accattivanti, battute e frasi suadenti, come si conviene a un bravo venditore. Fece lo stesso il suo omologo Silvio al tempo del famoso contratto con gli italiani ma scelse una location più dimessa, ovvero il salotto di Vespa, non una sede istituzionale. Ma al di là, sparare sulla Croce rossa sarebbe facile quanto inutile esercizio e occorre riconoscere a Renzi la volontà di imprimere subito il suo marchio di cambiamento. Ad oggi nulla di concreto, tranne tante promesse (ricorda qualcuno?); nessuna legge, nessun decreto approvato per iniziare ad arginare la crisi. Un profluvio di promesse e di parole che denotano la fretta di mostrare qualcosa nell’immediato. Matteo deve vincere e convincere nelle elezioni europee ormai alle porte: andato al potere grazie a un putsch, deve ottenere un consenso popolare postumo nelle urne che ponga fine a certi malumori diffusi. Da qui la velocità con cui si muove nella speranza di incantare gli italiani.

Matteo può fare tanto (se bene o male si vedrà) anche perché ha in mano un potere che nessun presidente del Consiglio italiano ebbe mai prima di lui. La prima cosa che ha fatto, per tentare di accrescere il suo consenso nella classe politica, è stata quella di dismettere i panni del rottamatore e attutire la vis polemica contro i suoi avversari interni. Sulla crisi Ucraina ha tenuto una posizione alquanto ragionevole, chiedendo spazi di manovra per la diplomazia, d’altronde la dipendenza italiana dal gas russo è troppo alta per tentare avventure; e sembra intenzionato anche a dimezzare il numero di F 35 destinati all’aviazione militare italiana, una spesa folle, da tempo al centro di polemiche. Inoltre ha stoppato ipotesi di manovre sulle pensioni (si inizia con le pensioni d’oro per poi finire a rubare soldi alle vecchiette), spiegando che ci si metterà mano in futuro (e qui speriamo bene). Qualche polemica invece desta il famigerato Job acts, in italiano – idioma più arcaico – legge sul lavoro, vero fulcro del suo programma. Vedremo quali saranno gli sviluppi, soprattutto dopo le elezioni europee quando, non essendo più necessario creare consenso immediato, il ragazzo di Firenze dismetterà le televendite per passare all’amministrazione della cosa pubblica.

Di certo il suo mandato è nato sotto una buona stella, a differenza di quello di Enrico Letta che al suo esordio fu funestato dai colpi di pistola di tal Preiti, esplosi contro i carabinieri che gli impedivano l’ingresso al Parlamento. I giornali sono condiscendenti, l’opposizione non esiste, se non quella di Grillo che appare un po’ appannata dalle polemiche interne, e l’ambito dei poteri forti lo asseconda. E presto sarà alla guida dell’Europa per sei mesi, circostanza che gli darà visibilità, ma soprattutto una maggiore forza contrattuale per trattare con gli altri Paesi dell’Unione.

Bimbomix, secondo i sondaggi, sale nel gradimento della gente e sembra destinato a raccogliere consensi a destra, come aveva promesso ai suoi stralunati interlocutori del Pd, spiazzati dal divenire della storia e travolti dai loro errori.

Al di là delle performance del Presidente del consiglio, si segnala una serie di interviste di Emanuele Macaluso pubblicate su diversi giornali. Ha parlato di tante cose l’esponente storico della sinistra, ma una in particolare ha suscitato interesse: tra sei mesi, fatte le riforme, Napolitano si dimetterà. Macaluso è molto legato a Giorgio e se lo dice lui è molto probabile che accada; il fatto che lo abbia voluto far sapere è per chiedere ai tanti avversari di Napolitano la fine del bombardamento di cui è fatto segno da tempo il Colle. Un segnale di resa insomma. Sei mesi, forse qualcuno in più nel caso voglia attendere la conclusione del semestre europeo, poi si riapriranno i giochi del Quirinale. Prodi scalda i motori: allo stato attuale non sembra avere competitori all’altezza, se non il solito Amato che però, spiega ancora Macaluso, incontra forti resistenze a sinistra. A questo proposito si segnala un articolo della Stampa del 15 marzo (E il M5S sfida Renzi a un patto col diavolo sul 3%) nel quale descrive una proposta del Movimento grillino tesa a chiedere lo sforamento del 3% del debito pubblico, previsto dal Patto di stabilità concordato in sede europea. La cosa sarebbe possibile, secondo i grillini, in base ad alcune norme dello Stato italiano che lo consentono in caso di “periodi di recessione economica relativi anche all’area euro” o “gravi crisi finanziarie”. Nelle intenzioni degli estensori della relazione, certo non pellegrina, il documento, secondo la Stampa, avrebbe potuto essere votato anche dal Pd. Ovviamente Renzi non ci pensa nemmeno, dal momento che ha incassato l’abbuono di uno 0.2% sul deficit dalla professoressa di tedesco e a quello si atterrà. E però l’articolo della Stampa conserva una nota significativa, in particolare nella conclusione, che riportiamo: «Ma è interessante chi viene citato nel testo nel M5S a rafforzare le motivazioni politiche dell’iniziativa: Romano Prodi; il quale, da Presidente della Commissione, definì “inattuale il Patto». Interessante citazione, sì.

 

Post Sciptum: «Il Quirinale non interviene né ad avvalorare né a smentire apprezzamenti, sollecitazioni o previsioni che impegnano semplicemente coloro che le esprimono». Così in una nota diramata del Quirinale. Un atto dovuto: le voci sulle dimissioni di Napolitano ne sminuiscono l’autorevolezza e ne risulta menomato il ruolo, fondamentale per gli equilibri delle istituzioni. Resta che tutti i giornali concordano nel ribadire come lo stesso Napolitano abbia più volte espresso l’intenzione di chiudere il mandato in anticipo rispetto al settennato.

Insomma, una smentita dovuta che non smentisce la sostanza delle cose.

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