Fatah, Hamas e le ambiguità di Netanyahu
Tempo di lettura: 2 minutiMoustafa Barghouti, esponente di Fatah e cugino del più noto Marwan Barghouti, leader dello stesso movimento (da dodici anni in prigione nelle carceri israeliane), commenta, in un’intervista rilasciata alla Repubblica del 26 aprile, l’accordo tra Hamas e Fatah. Per Barghouti, l’accordo, che prevede nuove elezioni, servirà a «riportare la democrazia in Palestina» e spiega che la contrarietà manifestata dal leader israeliano Natanyahu è solo strumentale: «Finora usava la divisione palestinese come scusa per dire che non era possibile fare la pace con noi perché non rappresentavamo tutti i palestinesi. Ora rovescia il discorso e usa l’unità palestinese come pretesto al contrario».
Più interessante l’accenno sul punto più controverso, e causa di polemiche, di questo accordo, ovvero il fatto che Hamas non riconosce lo Stato israeliano: «Abu Mazen sarà il primo ministro anche del governo unitario, e ribadirà l’accettazione delle condizioni messe dal Quartetto per i negoziati. Hamas è un partito e come tale può avere posizioni proprie, ma se vota per il governo che accetta le condizioni poste dal Quartetto, vuol dire che implicitamente le fa proprie. Anche noi potremmo porre a Netanyahu le stesse obiezioni per Naftali Bennet e il suo partito, che hanno sempre ripetuto che non accetteranno mai uno Stato palestinese».
Probabile che da parte israeliana siano posti distinguo tra la non accettazione dello Stato palestinese da parte del partito di Naftali Bennet rispetto a quella posta, in modo speculare, di Hamas nei loro confronti, dal momento che quest’ultima viene considerata un’organizzazione terroristica. E però, tanti politici e intellettuali, compresi molti israeliani, hanno affermato che la pace si fa con i nemici.