Un povero prete nell'inferno di Gaza
Tempo di lettura: 3 minutiÈ una lettera del parroco di Gaza, padre Jorge Hernandez, del 19 luglio ripresa dal sito del Patriarcato di Gerusalemme dei latini. La pubblichiamo integralmente, per il conforto che ha donato al nostro povero cuore e come invito alla preghiera.
1. La situazione.
Con grande dolore abbiamo assistito all’ingresso delle truppe israeliane nel territorio Gazaui. L’arrivo dei carri armati, gli spari, il chiasso degli elicotteri e delle raffiche annunciano il proseguimento di una guerra assurda. Nemmeno un cessate il fuoco di cinque ore è stato rispettato. È sempre più alto il numero delle famiglie che ha chiesto rifugio nella nostra scuola, in particolare rifugiati da Beit Hanoun e da Beit Lahia. L’acqua comincia a scarseggiare così come il carburante e l’elettricità (tre ore al giorno). Questa situazione è ancora più grave in posti come gli ospedali.
Interrompere un intervento chirurgico a causa della mancanza di corrente, attendere per una trasfusione di sangue solo perché non c’è la luce faceva parte del quotidiano negli ospedali prima della guerra…figurarsi ora!
I parrocchiani sempre più numerosi ci chiedono come affrontare lo stress, la consapevolezza di essere vulnerabili, la paura dei bimbi. Valga l’esempio di una bimba di tre anni che quasi non sa tenere in mano la matita la quale, racconta suo padre, ha disegnato “un aereo di cattivi” e un missile che “fa uuuuu e fa male”. Ha solo tre anni e ha già vissuto due guerre! Davvero terribile!
2. Il nostro apostolato.
Molti ci chiedono: che cosa fate nella Striscia di Gaza? Non grandi cose e tanto. Il nostro ministero è in primo luogo un ministero di presenza. Non possiamo lasciare la parrocchia, nè visitare le famiglie, non possiamo fermare questa guerra… non possiamo fare “grandi cose”. Lo stesso, c’è molto da fare. Tutte queste persone sono ben presenti nel Santo Sacrificio dell’altare, durante l’Adorazione eucaristica, il Santo Rosario…. c’è molto da fare!
Il solo fatto di essere qui, in mezzo a questo popolo, anche senza poter fare materialmente qualcosa è già una consolazione, il sollievo di essere accompagnati nella sofferenza. È anche una sorgente di forza e di speranza per il cristiano perseguitato. Ed è già dire molto! Mi diceva un sacerdote: “Esserci. Qualche volta non serve nulla di più”. Ed è vero.
Ci costa molto tacere (per falsa umiltà) e di non potere raccontare cosa significhi per un prete la grazia e il privilegio di essere uno strumento (inutile) di tutto il bene che Dio fa alle anime in questi momenti.
Non si può però tacere, e non senza un santo orgoglio, la grazia di appartenere alla congregazione dell’Ive (Istituto del Verbo Incarnato ndr.) che ci accoglie nel suo seno, con generosità e pazienza, e ci permette di fare nelle nostre vite la “sola cosa necessaria” per la quale vale la pena vivere e morire: seguire il Cristo.
3. Grazie tantissime!
A queste parole è necessario aggiungere i ringraziamenti, in primo luogo al Patriarca Fouad (Fouad Twal è il Patriarca di Gerusalemme dei latini ndr.) per la sua preghiera, la sua vicinanza e il suo sostegno. Ringraziamo mons. Shomali vescovo ausiliare per la Palestina, per la sua attenzione e la sua preoccupazione per ciascuno di noi in questi momenti difficili. Ringraziamo padre Humam Khzouz per la sua costante preoccupazione e la sua disponibilità senza riserve, giorno e notte, nel servizio della nostra parrocchia di Gaza.
Infine, dobbiamo ringraziare tutte le persone che, nel mondo intero, pregano per Gaza, che fanno sacrifici per la pace a Gaza e in Medio Oriente. Il Signore le ricompensi secondo la sua infinita misericordia.