L'Ucraina, Hong Kong e le stragi nel Donbass
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«Tra le strade e le case di Donestk è tornata la guerra. Da due giorni l’artiglieria ucraina sta bombardando il centro abitato seminando il panico tra i civili, distruggendo scuole, interi condomini, perfino i giardini pubblici e facendo un numero imprecisato di vittime. Ieri sotto le macerie del quartier generale della Croce Rossa è morto un operatore svizzero, Lauren Du Pasquier, 38 anni. Si aggiunge, in una lista ancora tutta da completare, ai sei bambini straziati mercoledì da un colpo di mortaio. La clamorosa violazione della tregua viene spiegata dai militari ucraini con la “necessità” di punire il tentativo dei ribelli di riconquistare quello che resta dell’aeroporto cittadino. Una giustificazione assai poco convincente che ha costretto la Ue a prendere una pur flebile posizione di condanna». Inizia così un coraggioso articolo di Nicola Lombardozzi pubblicato il 3 ottobre da Repubblica (fuoco sui filorussi Kiev viola la tregua e bombarda i filorussi).
Bombe sulle scuole, quello che accade in Siria ad opera degli jihadisti… si vede che si è sparsa la voce sull’efficacia di questa tecnica del terrore, particolarmente adatta a diffondere lo scoraggiamento tra la popolazione civile. Altra cosa che l’articolo accenna implicitamente, ma che è bene esplicitare, è che è stato bombardato il quartier generale della Croce Rossa, un crimine di guerra, in violazione a tutte le convenzioni internazionali.
L’articolo accenna anche alla scoperta di ben quattro fosse comuni «nell’area della miniera Kommunar nell’area carbonifera del Donbass che circonda la città di Nizhniaia Krynka. Le fosse, confermate dagli osservatori neutrali Ocse, conterrebbero secondo i russi un migliaio di corpi di civili russofoni caduti sotto gli attacchi dell’esercito e altri addirittura giustiziati».
Inoltre Lombardozzi riporta la testimonianza di un militare ucraino del «battaglione privato Dniepr finanziato dall’oligarca Igor Kolomojeskij. Il soldato, fuggito e finito in Russia a Rostov, ha raccontato di rastrellamenti nei villaggi dei russi di Ucraina, di esecuzioni e “pulizia etnica“». Si tenga conto che di eserciti privati in azione in Ucraina ce ne sono diversi, tra questi i paramilitari nazisti del battaglione Azov.
Vicende tragiche, sulle quali indaga la procura di Mosca, la quale ha aperto un fascicolo per crimini contro l’umanità contro il ministro della Difesa ucraino, in assenza di un qualsiasi cenno di interesse da parte dell’Occidente (e del Tribunale penale dell’Aja).
Difficile capire perché il governo di Kiev stia facendo di tutto per far saltare la tregua, anzitutto perché il povero presidente ucraino, Petro Poroschenko, sa bene che non è possibile vincere questa guerra sul piano militare, come dimostrato dalla disfatta dell’esercito ucraino. È possibile che a spingere in questa direzione sia qualche fazione interna al governo collegata agli ambiti neocon, i quali fin dall’inizio di questa crisi spingono per un confronto diretto con Mosca.
Probabile che a questa decisione di forzare in maniera tanto sfrontata il fronte orientale e provocare una reazione contribuisca la contemporanea crisi cinese, sfidata dalla rivolta studentesca ad Hong Kong. Una ribellione, quest’ultima, che ha alcuni tratti caratteristici delle rivoluzioni colorate, come quella andata in scena a piazza Maidan dalla quale è nata la rivolta del Donbass e il confronto con Mosca.
Ma al di là delle suggestioni, certo è che Putin, stretto dalla morsa delle sanzioni varate dall’Occidente e dall’isolamento internazionale, ha trovato nella Cina un alleato prezioso quanto indispensabile. Pechino non può compensare le perdite economiche subite da Mosca a causa delle sanzioni e poco può garantirgli sul piano dell’agibilità internazionale. In ogni caso il rilancio della partership con Pechino, il cui simbolo è stata la creazione di un nuovo grande gasdotto per portare energia al Dragone, costituisce una prospettiva di sviluppo e sicuramente un’importante carta propagandistica che Putin può giocarsi sul piano interno, sia a livello politico che di consenso popolare.
Così l’indebolimento della Cina a seguito della crisi di Hong Kong indebolisce anche Putin. Qualcuno, non solo in Ucraina, può aver pensato che sia arrivato il momento di tentare una nuova spallata al Cremlino.
Sono un mistero invece le sanzioni varate dall’Occidente contro Mosca. Restano in vigore nonostante sia ormai chiaro che Putin sta cercando di fare di tutto per facilitare un compromesso tra Kiev e le province ribelli, fugando i residui dubbi sulla volontà di far abbeverare i cavalli dei suoi cosacchi a Kiev. Né i sanzionatori tengono in alcun conto il fatto che è stato raggiunto un cessate il fuoco tra le parti.
In realtà queste sanzioni, varate ufficialmente per costringere il Cremlino a rispettare la sovranità di Kiev, stanno mostrando il loro vero scopo: costringere Putin all’uscita di scena. Cosa che può avvenire in due modi: in maniera volontaria, qualora lo zar percepisse la fine del suo agio politico; oppure una sua defenestrazione ad opera di un’oligarchia russa stanca della stretta occidentale (c’è anche chi ipotizza una terza via: l’omicidio politico…).
Sicuramente non sarà solo Mosca a soffrire di queste sanzioni senza senso, ma anche l’Europa, che si sta auto-sanzionando. Ce ne accorgeremo, tra l’altro, alle prossime bollette…
Sia consentito di chiudere con una nota umoristica: rimandiamo a uno skecth di Pippo Franco sulle sanzioni allora imposte all’Italia fascista. Erano tempi in cui era più facile riconoscere regimi autoritari e aggressivi; oggi tutto è più complesso, basti pensare che gli allora sanzionatori si trovano alleati alle oscure forze neonaziste che tanta parte hanno nel governo di Kiev.