22 Gennaio 2015

Nucleare iraniano: il Mossad sfida Netanyahu

di Lorenzo Biondi
Nucleare iraniano: il Mossad sfida Netanyahu
Tempo di lettura: 3 minuti

Israele vuole nuove sanzioni contro l’Iran? Risposta: no, o almeno non tutto Israele. In America Barack Obama ha ribadito, nel discorso sullo Stato dell’Unione di martedì sera, di essere pronto a mettere il veto su una legge del Congresso che provi a imporre altre sanzioni contro Teheran: il presidente non può accettare che i falchi di Capitol Hill mandino alle ortiche anni di faticoso negoziato per mettere fine alla disputa sul programma nucleare iraniano.

 

Ma anche in Israele, al contrario di quanto vorrebbe la vulgata, c’è chi sostiene gli sforzi di Obama e non condivide la linea dei falchi. Un articolo pubblicato ieri su Bloomberg e firmato da Josh Rogin ed Eli Lake, grandi esperti di questioni israeliane, spiega che anche il Mossad pare preoccupato dall’ipotesi di nuove sanzioni da parte del Congresso.

 

Un passo indietro: ieri è stato reso noto che il premier israeliano Benjamin Netanyahu è stato invitato da John Boehner, leader repubblicano della Camera, a intervenire davanti al Congresso il prossimo 11 febbraio (invito accettato, ma la data è stata rinviata alla prima settimana di marzo). L’intento è chiaro: Netanyahu dovrebbe dare man forte a chi, negli Stati Uniti, vuole usare il pugno di ferro delle sanzioni contro l’Iran. Il viaggio di Netanyahu segna una frattura senza precedenti tra il premier e la Casa Bianca: un portavoce di Obama ha fatto sapere ieri che il presidente è stato tenuto all’oscuro dell’invito a Netanyahu, una rottura di tutti i protocolli della diplomazia americana.

 

Il quotidiano israeliano Haaretz ha poi raccontato che i contatti tra Boehner e Netanyahu si sono svolti in gran segreto, grazie alla mediazione dell’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Ron Dermer, già braccio destro di Netanyahu. Il dipartimento di Stato, la Casa Bianca e l’ambasciata americana in Israele sono state tenute all’oscuro di tutto.

 

Ma se “Bibi” si prepara ad accorrere in soccorso dei falchi Usa, pare che il Mossad stia seguendo una strategia diversa. Secondo la ricostruzione di Bloomberg il servizio di intelligence israeliano avrebbe tenuto negli ultimi giorni alcune riunioni con congressmen americani ed esponenti dell’amministrazione. A questi incontri ha fatto riferimento in pubblico anche John Kerry, il segretario di Stato americano, che ha così riassunto la posizione dell’intelligence israeliana: se il Congresso approvasse le sanzioni, «sarebbe come tirare una granata sui negoziati». Lo stesso concetto, scrivono Rogin e Lake, sarebbe stato ribadito a un gruppo di deputati e senatori Usa arrivati in Israele nei giorni scorsi. (Il Mossad ha pubblicato una nota in cui corregge la ricostruzione di Bloomberg, aggiungendo che dopo la «granata» «i negoziati potranno essere ripresi a condizioni migliori». Smentita inevitabile: per Rogin, che l’ha commentata su Twitter, la sostanza della storia non cambia).

 

Quello del Mossad è stato letto come un “intervento a gamba tesa”: il Mossad «rompe i ranghi» e «sfida Netanyahu», ha commentato Haaretz. Il motivo è presto detto: i falchi americani e israeliani sostengono che le nuove sanzioni possono essere uno strumento per forzare l’Iran a firmare l’accordo con l’Occidente.

Le fonti americane di Bloomberg hanno interpretato le parole del Mossad in senso opposto: le sanzioni possono solo far saltare l’accordo, aumentando il rischio che Teheran stracci gli impegni presi finora e riprenda un percorso che – potenzialmente – può condurre all’arma atomica. Pare – ancora secondo Bloomberg – che il senatore Robert Menendez, “clintoniano” e principale sostenitore delle sanzioni all’interno del partito democratico, avendo appreso degli incontri tra il Mossad e i suoi colleghi senatori avrebbe immediatamente telefonato all’ambasciatore Dermer per chiedere chiarimenti sull’accaduto.

 

La scorsa settimana il premier britannico David Cameron aveva preso posizione contro l’ipotesi di nuove sanzioni, spiegando che, se il Congresso andasse avanti per quella strada, romperebbe l’unità di intenti che finora si è registrata tra Stati Uniti, Gran Bretagna e altri Paesi occidentali. I falchi stanno muovendo le loro pedine per mandare all’aria il negoziato. Ma Obama (e i sostenitori del compromesso, anche a Teheran) possono contare su alleati altrettanto influenti, e forse inattesi.

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