17 Febbraio 2015

Morire per Tripoli, bel suol d'amore?

Morire per Tripoli, bel suol d'amore?
Tempo di lettura: 2 minuti

«Andare in Libia a fare la guerra è fin troppo facile. Una volta che fossimo infilati in quel pantano, però, sarebbe difficile uscirne. Guardate cosa accade dopo 14 anni di Afghanistan». Così il generale Fabio Mini in un’intervista rilasciata a Francesco Grignetti per la Stampa del 17 febbraio (“Entrare in guerra è facile ma si rischia il pantano”).

Per Mini parlare di «peace keeping” alla maniera libanese, non ha senso: non ci sono due fazioni che si affidano a noi per consolidare una tregua. Fare come nel 2011, poi, con i raid aerei, lascerebbe le cose come stanno».

 

Sull’avventura militare, troppo presto sbandierata da alcuni esponenti politici e giornalisti italiani, Mini aggiunge altri temi di riflessione: «Se proprio si deve controllare il territorio, in Libia ci sarebbe da combattere sul serio e non so se è chiaro che avremmo 50 morti nella prima settimana. Né si pensi che bastino 5 mila uomini [come avventatamente si è ipotizzato ndr.] ce ne vorrebbero 50mila e forse sarebbero ancora pochi».

 

Per Mini anche in un’operazione stile Kosovo, raid aerei in appoggio a fazioni libiche con “scarponi” a terra, ci sarebbe da capire «quali fazioni appoggiamo e chi no. Perché è evidente che l’Isis è soltanto una bandiera, e sotto ci sono le stesse milizie che prima pagavamo e ora indossano la tuta nera perché da quelle parti è diventato un marchio vincente».

«Se un ampio spettro di forze libiche ci chiedessero aiuto… Ma abbandoniamo idiozie come l’esportazione della democrazia. Ipocrisia […] La Libia è terra di tribù, ciascuna con i suoi pozzi di petrolio. Se devo dirla tutta, converrebbe che gli equilibri locali si chiariscano da soli. Con un intervento occidentale ora, la crisi si internazionalizza e in prospettiva diventa ingestibile».

 

Nota a margine. Tanti spunti interessanti in questa intervista. In particolare va sottolineato quel cenno ai «miliziani che pagavamo». Mercenari allora, come mercenari sono ancora oggi quelli dell’Isis. Davvero le varie agenzie di intelligence occidentali non sanno chi li paga ora?

Sul Corriere della Sera dello stesso giorno, un’intervista all’ambasciatore egiziano a Roma Amr Mostafa Kamal Helmy. L’Egitto, dopo aver bombardato postazioni Isis a Derna in risposta alla decapitazione di 20 civili copti, è interessato a stabilizzare la situazione. Ne parla l’ambasciatore nella sua intervista, della quale riportiamo un cenno invero interessante: «Se vogliamo essere sinceri, bisogna porre fine al sostegno militare ma anche finanziario per questi gruppi, e sappiamo tutti chi li sta appoggiando con la logistica e i soldi». Già, lo sanno tutti…