Apocalypse now: l’Isis e altri movimenti apocalittici – prima parte
C’è una parola che è fondamentale per capire di cosa parliamo quando parliamo di Isis: Apocalisse. A metà febbraio il magazine americano The Atlantic ha pubblicato un lungo saggio firmato da Graeme Wood, giornalista esperto di jihadismo, sulle radici ideologiche e religiose del gruppo terrorista che si fa chiamare Stato islamico. Nel giro di qualche giorno, tra gli esperti del settore non si parlava d’altro (la grande stampa italiana si è limitata a dedicarci un trafiletto, quello di Viviana Mazza sul Corriere della Sera).
Wood parte da una tesi forte. Certo, lo Stato islamico ha obiettivi concretissimi, a partire dal controllo di un territorio ricchissimo di risorse naturali. Ma non si capisce l’Isis se non si afferra del tutto la sua ideologia, le sue motivazioni religiose. Lo Stato islamico nasce nel filone di pensiero dell’Islam salafita, un movimento reazionario apparso in Arabia nel diciottesimo secolo per contrastare un presunto allontanamento dell’Islam dalla sua originaria purezza. La stragrande maggioranza dei salafiti – sostiene però Wood – non hanno nulla a che vedere con l’Isis. Anzi «lo Stato islamico è diverso da quasi tutti gli altri movimenti jihadisti contemporanei» perché ritiene di «ricoprire un ruolo centrale nel progetto di Dio»: questo ruolo, in ultima analisi, è «far manifestare l’Apocalisse».
Un’Apocalisse realizzata dall’uomo
Wood non è il primo ad accorgersene. William McCants, esperto di Medio Oriente della Brookings Institution, sta dedicando al tema un libro intero, in uscita l’autunno prossimo. McCants spiega che già dal 2008 (quando il futuro capo dell’Isis, che si fa chiamare Abu Bakr al Baghdadi, era ancora prigioniero degli americani a Camp Bucca) arrivò all’orecchio di Osama bin Laden che Al Qaeda in Iraq, precedente incarnazione – sotto altra forma – dello Stato islamico, «era guidata da millenaristi che parlavano tutto il tempo della venuta del Mahdi», il Messia della tradizione islamica.
Dal 2008 a oggi «la fine dei giorni è diventata un elemento centrale nella propaganda dell’Isis». Al punto che la rivista di propaganda del gruppo si chiama Dabiq, il nome della località nel nord della Siria dove dovrebbe svolgersi lo scontro finale tra le armate dell’Islam e quelle del Nemico, identificato con Roma.
Non si tratta solo di un’immagine simbolica, ma di un obiettivo strategico. Perché una delle caratteristiche centrali dei culti apocalittici – non solo dell’Isis ma, come diremo, anche di molti movimenti millenaristi che sono nati in seno al cristianesimo e all’ebraismo – è quella di non limitarsi ad attendere l’Apocalisse, ma di volerne accelerare l’avvento.
Chi vuole i soldati Usa in Siria
Nel suo saggio Wood spiega che l’Isis, nell’agosto del 2014, «ha festeggiato all’impazzata il momento in cui (a caro prezzo) ha conquistato le pianure strategicamente irrilevanti di Dabiq». La cittadina siriana – poco lontana da Aleppo e dal confine con la Turchia, tremila anime prima dell’inizio della guerra – è circondata da una zona agricola di poca importanza strategica e militare. Ma Dabiq è cruciale, dal punto di vista simbolico, per il progetto dell’Isis di anticipare la fine dei tempi.
Secondo un Hadith, cioè una racconto che la tradizione islamica attribuisce al Profeta (ma che non fa parte del Corano), quando gli eserciti di Roma arriveranno a Dabiq sarà il segno che l’Apocalisse è vicina. La vittoria delle armate dell’Islam in quella battaglia sarà la premessa per la conquista di Costantinopoli e la sconfitta dell’ultimo dei “falsi profeti” – l’Anticristo del Nuovo Testamento, che l’Islam chiama Dajjal. Tutti segni che precedono il giorno del giudizio, così come la rifondazione del Califfato.
Il terribile video della decapitazione del terzo prigioniero americano in mano all’Isis, Peter Kassig, è stato girato proprio nei paraggi di Dabiq. Il boia incappucciato – soprannominato “il jihadista John”, identificato poi nel britannico Mohammed Emwazi – dichiara a favore di camera: «Eccoci qui, a seppellire il primo crociato americano a Dabiq, aspettando con impazienza che arrivi il resto dei vostri eserciti».
In questo caso la Roma della profezia viene identificata con gli Stati Uniti d’America. In altri casi i militanti dell’Isis hanno puntato il dito verso la “seconda Roma”, Costantinopoli, la moderna Istanbul, cioè la Repubblica fondata da Ataturk che mise fine all’ultimo califfato: poco importa che la Turchia di oggi sia una nazione a maggioranza musulmana, e che il sostegno di Recep Tayyip Erdogan alla lotta contro l’Isis sia arrivato con un certo ritardo e non senza ambiguità.
Poco importa pure, dal punto di vista del jihadista John e dei suoi, che il “crociato” del video sia in realtà un convertito all’Islam (Kassig aveva assunto il nome di Abdul Rahman). Il video delle esecuzioni – spiega Wood nell’articolo sull’Atlantic, – «in cui un uomo incappucciato si rivolge al presidente Obama chiamandolo per nome, mira in modo chiaro ad attirare l’America nel conflitto». Nel piano apocalittico dell’Isis, l’arrivo dei soldati statunitensi in Siria realizzerebbe la profezia. La decapitazione di Kassig e degli altri mira, appunto, a provocare la battaglia di Dabiq e ad anticipare la fine dei tempi. Wood conclude che «il principale sostenitore di un’invasione americana (della Siria) è proprio lo Stato islamico».
A ogni religione i suoi millenaristi
Gli esperti di Islam spiegano che millenarismo e messianismo occupano uno spazio abbastanza marginale nella storia musulmana, limitato soprattutto all’Islam sciita. Negli ultimi anni le eccezioni però sembrano moltiplicarsi. Intorno al 1980, l’anno 1400 del calendario islamico, in giro per il mondo sono comparsi diversi sedicenti Messia islamici. Ma l’Isis sarebbe un caso più unico che raro: «Se è vero che molte organizzazioni estremiste islamiche hanno caratteristiche settarie – ha scritto Marita La Palm dell’American University di Washington – l’Isis è forse la più settaria della storia. (I suoi militanti) vivono in un mondo immaginario in cui gli eroi jihadisti si preparano all’Apocalisse».
J.M. Berger, tra i principali esperti americani di jihadismo, ha spiegato così questa “anomalia”: per capire l’Isis è utile guardare al di fuori dei confini dell’Islam, perché i gruppi apocalittici hanno caratteristiche comuni a prescindere dalla religione all’interno della quale si sviluppano. «Il loro elemento comune è il millenarismo, non il background teologico dal quale derivano le loro convinzioni sulla fine dei giorni». È il caso allora di dare uno sguardo ai più recenti movimenti apocalittici nati a partire dalle altre due “religioni del Libro”. Si scopre così che il fenomeno è tutt’altro che marginale nella storia degli ultimi decenni.
(fine prima parte, la successiva sarà pubblicata lunedì)