Apocalypse now: l’Isis e altri movimenti apocalittici - seconda parte
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Da Münster a Mosul
Uno dei primi a definire l’Isis come culto apocalittico sulla stampa mainstream, il filosofo britannico John Gray, ha paragonato i militanti dello Stato islamico agli anabattisti di Münster. Nel 1534 Jan Bockelson, un panettiere di Leida, si proclamò nuovo Messia e trasformò la cittadina tedesca in un mini-stato teocratico, una «nuova Gerusalemme» fatta di conversioni forzate, poligamia e roghi di libri (una storia raccontata dal collettivo Wu Ming/Luther Blissett nel romanzo Q). A Münster fu messo in atto «un tipo di repressione con pochi precedenti nel mondo medievale», scrive Gray, di cui «è difficile non notare le similitudini col califfato proclamato da Abu Bakr al Baghdadi».
Di eresie millenariste è punteggiata la storia del cristianesimo (e dell’ebraismo). Ma non si tratta, come si potrebbe pensare, di episodi lontani nel tempo, confinati alla prima età moderna. Al contrario, i culti apocalittici sono spesso protagonisti della cronaca nera dei giorni nostri.
Il ritorno dell’Apocalisse
Dall’attentato dinamitardo del 1995 a Oklahoma City alla strage di bambini a Newtown, la recente storia americana si incrocia spesso – e in modo tragico – con forme di millenarismo. In entrambi quegli episodi, Oklahoma e Newtown, sono coinvolti più o meno marginalmente i cosiddetti doomsday prepper, quelli che si preparano al (o che preparano il) giorno del giudizio.
Un episodio meno recente, datato 1974, ricorda in modo inquietante – mutatis mutandis – le vicende attuali: un gruppo di estremisti che si faceva chiamare Movimento dell’identità cristiana fondò una sorta di piccolo Stato in Idaho, sempre negli Stati Uniti, che sarebbe dovuto essere il nucleo di una nuova Terra promessa. Da lì il movimento progettava di avviare un’opera di rinnovamento morale della cristianità e di conquista territoriale, da realizzare grazie a un piccolo esercito di adepti e a una serie di attentati terroristici: «Gli atti di violenza insurrezionale avrebbero accelerato la conflagrazione» e «l’imminente Apocalisse».
Il millenarismo non riguarda però solo qualche sparuta setta. Secondo sondaggi recenti, negli Stati Uniti il 77 per cento degli evangelici – e il 40 per cento di tutti gli americani – ritiene che il mondo stia vivendo i suoi ultimi giorni e che siamo prossimi all’Armageddon, lo scontro finale. Bisogna tenera a mente che è evangelico un americano su quattro, la più grossa denominazione religiosa del paese. Certo, non tutti coloro che credono che l’Apocalisse sia imminente sono anche convinti che ci si debba adoperare per accelerarne i tempi; ma il dato è comunque impressionante.
Lo stesso John Gray ha ricostruito le influenze del pensiero apocalittico cristiano sulla destra neo-con, che tanto ha pesato per la presidenza di George W. Bush. Il progetto della war on terror deve molto a una lettura della politica mondiale in chiave di scontro finale tra Bene e Male. «L’assassinio di migliaia di civili l’11 settembre del 2001 – sostiene Gray nel suo Black Mass, tra i saggi più interessanti sul millenarismo nella politica contemporanea – ha contribuito a portare il pensiero apocalittico al centro della politica americana».
Sionismo contro messianismo
Per una strana coincidenza di tempi, il “pensiero apocalittico” attraversa una fase di relativa diffusione anche nel mondo ebraico. Sono in molti a pensare che all’interno del movimento sionista si sia verificato, nel corso degli ultimi decenni, un radicale cambiamento di mentalità.
La comparsa del sionismo moderno, alla fine dell’Ottocento, creò non pochi problemi di tipo religioso e ideologico nell’ebraismo mondiale: «Secondo il Talmud – nella ricostruzione di Leil Leibovitz, giornalista israeliano e professore alla New York University – i tentativi di tornare alla Terra promessa prima del tempo fissato da Dio sono severamente proibiti; ogni iniziativa volta a insediarsi nella terra di Israele era vista come un tentativo improprio di accelerare la venuta del Messia». Da qui la diffidenza iniziale tra ebraismo ortodosso e sionismo.
Il sionismo delle origini, quello ottocentesco di Theodor Herzl, prese più volte le distanze dal “pensiero apocalittico”. La fondazione dello Stato di Israele aveva obiettivi politici, non religiosi. Ma la questione tornò a presentarsi dopo l’Olocausto e l’effettiva nascita dello Stato. Con un nodo più aggrovigliato di altri: che fare di Gerusalemme e del Monte del Tempio?
La ricostruzione del Tempio viene annunciata dal profeta Daniele come premessa per la venuta del Messia. Tomer Persico, studioso di ebraismo all’università di Tel Aviv e alla Ben-Gurion, ha scritto che secondo i fondatori dello Stato di Israele, a partire da David Ben-Gurion, «se i luoghi santi fossero stati sotto controllo israeliano, il sionismo non sarebbe stato in grado di darsi una capitale che avrebbe rispettato la sua visione progressista del mondo». Il sionismo religioso e messianico avrebbe prevalso. Per questo Ben-Gurion disegnò «una divisione di Gerusalemme che evitasse la sovranità israeliana sul Monte del Tempio». La scelta, del resto, era fedele all’idea originaria di Herzl di trasformare il cuore della città santa in «un centro internazionale di religione e scienza».
«I padri del sionismo avevano fatto un uso ragionato delle energie religiose e messianiche condivise dalle masse ebraiche nella storia, e mobilitato queste energie al servizio di un movimento politico che era fondamentalmente laico, pragmatico e moderno». A parlare è uno dei personaggi di Giuda, l’ultimo romanzo dello scrittore Amos Oz. Il racconto si riferisce ai primi anni successivi alla fondazione dello Stato di Israele, e si chiude con una profezia a tinte fosche: «Un giorno il golem, il fantoccio, si ritorcerà contro il suo creatore: le forze religiose e messianiche, quelle energie irrazionali che i fondatori del sionismo avevano cercato di innestare nella loro battaglia laica e attuale, sarebbero venute fuori travolgendo tutto quello che i padri del sionismo intendevano realizzare qui».
L’ascesa del sionismo religioso
La svolta arriva con la guerra del 1967 e la conquista israeliana dei luoghi santi di Gerusalemme. «Il sionismo pragmatico – prosegue Persico citando lo studioso Baruch Kurzweil – si trova impigliato nella rete delle sue conquiste. Ritirarsi (dal muro occidentale del Tempio) vorrebbe dire ammettere il proprio fallimento come voce ed esecutore della continuità storica del giudaismo. Interrompere la corsa precipitosa di un’apocalisse messianica è impensabile».
La fortuna contemporanea del sionismo religioso, secondo questi autori, nascerebbe qui. Almeno dal punto di vista teorico. A completare il viaggio del sionismo religioso verso il cuore della politica mainstream israeliana – scrive ancora Leibovitz – ci ha pensato il carisma personale di Naftali Bennett, ministro uscente dell’economia, il cui partito aspira a diventare il terzo gruppo più consistente nel nuovo parlamento di Israele.
Il reale consenso di Bennett lo scopriremo a breve (il 17 marzo in Israele si svolgeranno le elezioni politiche). Ma al di là delle contingenze, c’è un dato “ideologico” da tenere a mente. Una scelta politica – il controllo di Gerusalemme – si trasforma in obiettivo religioso. La venuta del Messia e l’Apocalisse, da manifestazione suprema dell’azione di Dio nella storia, diventano sostrato (anche se remoto) di un programma di partito.
Evitiamo confusioni: le vicende che abbiamo raccontato – dall’Isis alla destra religiosa americana e israeliana – non hanno nulla a che spartire l’una con l’altra. Ma il successo, in forme così diverse tra di loro, del “pensiero apocalittico” forse racconta qualcosa dell’epoca in cui viviamo.
C’è un solo elemento in comune tra queste storie: ritenere che la salvezza del mondo – cioè la vittoria ultima del Bene sul Male – in fin dei conti dipenda dall’azione dell’uomo. L’Apocalisse, il disvelarsi del piano divino sulla fine della Storia, diventa conseguenza di un’azione politica e militare. Il giorno del giudizio, da segno dell’infinita potestà di Dio sul creato, si trasforma in progetto umano. La confusione aumenta e gli esiti, spesso, sono perversi.